Protezionismo o contestazione?
Con il termine Brexit si indica l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, così come sancito dal referendum che si è svolto lo scorso 23 giugno 2016. Il risultato ha determinato la chiusura definitiva dell’isola di sua Maestà verso un’istituzione mai troppo amata oltre manica, uno scarso feeling infatti è sempre stato sottolineato dalla mancata adesione all’Euro da parte della Gran Bretagna stessa. Prima conseguenza di tale iniziativa sono state le immediate dimissioni dell’ormai ex premier Cameron e la conseguente nomina dell’attuale primo ministro britannico Theresa May (a new Margaret Thatcher?) che in merito alla questione “Remain or Leave” così asseriva: “Invece che combattere di nuovo le battaglie del passato, dovremmo concentrarci su come possiamo tornare ad essere uniti come paese e ottenere il massimo da questa opportunità, per costruire un futuro solido, fiducioso e aperto al mondo”.
Dove la parola chiave è certamente “aperto”.
Il 9 novembre 2016 gli Stati Uniti d’America hanno eletto come loro 45° presidente Donald Trump, un discusso magnate statunitense appartenente al partito dei Repubblicani e forte sostenitore dello slogan: “Make America Great Again!”
Ma cos’hanno veramente in comune i recenti accadimenti della nuova e della vecchia York? Patriottismo, nazionalismo, isolazionismo, protezionismo o, forse, solo un forte segnale verso il potere, una ferma azione contro il sistema? Proviamo a fare un passo indietro e, guardando ai principi legislativi che regolano concetti (a questo punto) quasi chimerici come la libera circolazione delle persone, tentiamo di ripercorrere un breve excursus storico sull’evoluzione normativa europea dagli anni ’50 ad oggi.
Il concetto di libera circolazione, in territorio europeo, è piuttosto cambiato da quando è stato introdotto:
Nel 1957 il TCEE (Trattato di Roma) sanciva la Comunità economica europea, contemplando la libera circolazione dei lavoratori e la libertà di stabilimento, quindi i singoli intesi come lavoratori, dipendenti o prestatori di servizi.
Nel 1992 è stata la volta del Trattato di Maastricht (Trattato dell’Unione Europea) che, firmato sulle rive del Mosa, ha introdotto il concetto di cittadinanza dell’UE di cui ogni cittadino di uno stato membro beneficia automaticamente. È la cittadinanza dell’UE che sancisce il diritto delle persone di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.
Infine, il Trattato di Lisbona del 2007 ha confermato tale diritto, che è altresì inserito nelle disposizioni generali riguardanti lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
Ed oggi, nel 2016, il panorama, non più solo europeo ormai, sembra stia per mutare nuovamente. Perché, se sul fronte continentale le migrazioni sono state il tema dominante della campagna elettorale britannica pro Brexit, oltre oceano, il piano anti-immigrazioni di Donald Trump sembra agevolmente riassumibile in 10 punti il cui riscontro materiale potrebbe manifestarsi con l’innalzamento di un muro stile Muraglia Cinese che segni definitivamente “i confini” tra gli USA ed il Messico (“una nazione senza confini non è una nazione”).
Ciò che forse non è stato detto abbastanza è che in questo periodo temporale così complicato, segnato da un’epoca in cui la speranza è morta (o quasi), lo shock di azioni tanto forti non sarà cancellato in fretta. Abbiamo imparato, o avuto conferma, di alcune lezioni amare che non riguardano solo i britannici o gli americani, ma parlano della consapevolezza di tutte le genti. Saranno le vite di tutti, soprattutto dei giovani, europei e non, a doversi adattare a un nuovo, sorprendente corso della storia. Perché se la globalizzazione è la madre di tutti gli shock, il mondo risponde con dei controshock ancora più devastanti, come la Brexit o Trump. Forse, tali operazioni politiche e conseguenti manifestazioni di volontà popolare, sono solo in apparenza delle elezioni presidenziali o dei referendum sull’Europa. Nel profondo, probabilmente, si tratta in realtà di referendum sulla globalizzazione e i suoi effetti contradditori; sulla libera circolazione delle persone e sulle immigrazioni, sulla paura delle invasioni, sulla percezione dell’affollamento nazionale. Ma alla fine i grandi sconfitti di questi accadimenti resteranno le nuove generazioni che, limitate da condizioni nazionali spesso soffocanti, temibili o non dignitose, o più semplicemente affette da una legittima brama di scoperta e conoscenza, incontreranno un nuovo “muro” nelle loro opportunità. E il “mestiere del curioso”, così come ipotizzato da un lungimirante Truffaut negli anni ’60, resterà solo una celebre citazione filmico-letteraria.
Stefania Magnisi