L’International Day for the Elimination of Violence Against Women è una celebrazione istituita nel 1999 dalla General Assembly of the United Nations, che invita i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG a organizzare attività che coinvolgano le persone di tutto il mondo, in modo da prendere coscienza della situazione attuale in materia di violenza sulle donne.
La violenza sulle donne è una violazione dei diritti umani, perciò non riguarda solamente le donne in quanto dirette interessate, ma anche gli uomini, spesso causa principale di tale violenza, perché come esseri umani non possono non esserne toccati. Viviamo in una società maschilista che ha sempre messo in secondo piano la figura femminile, vista come soggetto fisicamente debole e senza alcuna potenzialità per la società, preferendo di conseguenza cristallizzarla in un ruolo stereotipato: donna intesa come oggetto finalizzato alla procreazione, dedita quindi all’educazione della prole e all’amministrazione della casa, luogo in cui tuttavia per molto tempo ha dettato legge l’uomo, cosa che succede ancora adesso. Ma le donne si sono ribellate a questa condizione ingiusta: hanno lottato per la loro emancipazione, abbattendo ogni forma di discriminazione e opponendosi a ogni forma di violenza: che si tratti di quelle “classiche”, ossia psicologica, fisica o stupro, da parte di un partner, un conoscente o un estraneo; o di quelle più di “nicchia”, come la mutilazione genitale, pratica legata ancora a una cultura retrograda e a un pensiero manipolato dalla religione; il matrimonio forzato, per soddisfare esigenze di natura economica e sociale, che spesso vede vittime le bambine; o il traffico di prostituzione, una nuova forma di tratta degli schiavi, che può coinvolgere a sua volta ragazze minorenni; e così a seguire.
La data della Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza Contro le Donne è stata scelta appositamente in memoria dell’uccisione di tre delle quattro sorelle Mirabal, avvenuta il 25 novembre del 1960. Esempio di donne rivoluzionarie, le sorelle Mirabal si distinsero per il loro coraggio nella lotta al regime di Rafael Trujillo, il dittatore che per più di 30 anni impose la sua autorità sulla Repubblica Dominicana. Catturate dagli agenti del Servizio d’informazione militare, le tre donne furono torturate, massacrate e strangolate, e infine i corpi gettati in un precipizio per inscenare la loro morte.
Questo è solo uno dei tanti fatti che vede vittime le donne. Queste ultime sono una risorsa per ogni Paese: assecondare ogni forma di violenza contro di loro e impedirne la libertà di partecipazione attiva alla vita significa frenare il progresso della società, sia a livello morale che pratico. Ecco perché tra i Sustainable Development Goals, ossia gli obiettivi che le Nazioni Unite si sono imposte di raggiungere entro il 2030, emerge quello relativo all’uguaglianza di genere sotto ogni aspetto: sociale, economico, politico, ecc., finalizzato in particolare all’empowerment femminile, al fine di portare benefici alla società.
Tra le tante campagne lanciate in tema di violenza sulle donne è da segnalare The Spotlight Iniziative, promossa recentemente dall’Unione Europea e dalle Nazioni Unite, sempre in linea con i Sustainable Development Goals. Si tratta di un’iniziativa che vuole mettere in luce e porre al centro dell’attenzione tale problematica, invitando donatori e partner a partecipare dinamicamente, in modo da riuscire a raccogliere tutti quei finanziamenti necessari a portare avanti la campagna, perché i fondi sono uno dei problemi principali alla buon riuscita di tali iniziative.
In riferimento a questo problema si è impegnata anche la UNiTE to End Violence against Women Campaign (lanciata nel 2008 sempre dalle Nazioni Unite), oltre che voler ovviamente sensibilizzare il mondo intero sul tema della violenza sulle donne, stimolando l’ideazione di iniziative per le strade, nelle scuole o in tutti quei luoghi dove è possibile raggiungere il maggior numero di persone, o meglio uomini, perché non tutti sono consapevoli della realtà drammatica a cui spesso sono soggette le donne. Quest’anno la UNiTE porta avanti l’iniziativa intitolata “16 Days of Activism against Gender-Based Violence”, che va dal 25 novembre (Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne) al 10 dicembre (Giornata dei Diritti Umani), il cui tema portante è Leave No One behind: End Violence against Women and Girls, che si concentra appunto sull’aspetto della violenza contro le donne, ma allo stesso tempo si indirizza anche sull’indifferenza nei confronti di rifugiati, migranti, minoranze, persone indigenti e popolazioni colpite da guerre e disastri naturali. «Orange the World» è l’esortazione con cui la UNiTE dà il via all’iniziativa che parte con la celebrazione del 25 novembre. La scelta del colore arancione è relativa al fatto che quest’ultimo simboleggia il futuro luminoso senza violenza auspicato dalla campagna, oltre a considerare che in questi ultimi tempi il colore arancione è stato spesso adottato in situazioni di opposizione a forme di ingiustizia, a cominciare dalla Rivoluzione Arancione scoppiata in Ucraina nel 2004. Ma potrebbe anche essere stato adottato in contrapposizione al colore rosa, da sempre associato alla figura femminile, che ha quindi continuamente alimentato lo stereotipo di genere. Chi l’ha detto che il rosa è un colore femminile e l’azzurro un colore maschile?
Le iniziative di questo genere, affiancate dai Centri Antiviolenza, sono il primo passo verso il cambiamento, ma si può fare ancora di più, e non solo in materia di violenza. La legislazione riguardante i diritti delle donne non è ancora intervenuta in molte questioni. Tra queste spicca in Italia quella inerente la legge 81 del CONI (l’ente che disciplina lo sport), che considera le sportive come semplici dilettanti, escludendole quindi dal professionismo di cui invece godono gli sportivi. Ancor di più nel mondo del calcio, sport da sempre associato agli uomini e per tal ragione più soggetto a discriminazioni nei confronti delle donne, le quali non possono ancora usufruire di uno stipendio adeguato e tutte le garanzie connesse come i colleghi calciatori, ragion per cui sono costrette ad avere un secondo lavoro, da alternare con allenamenti e partite settimanali, oltre che con tutti gli impegni famigliari. La stessa situazione dei calciatori uomini di decenni fa, quando la passione per il calcio era così autentica da sopportare lo stress di una vita fitta di ulteriori impegni. Verrebbe da chiedersi quanti dei calciatori attuali continuerebbe a giocare a calcio con un stile di vita del genere, soprattutto senza essere così tanto (troppo) stipendiati.. Da questo punto di vista non c’è motivo di essere fieri nell’essere italiani: gli altri Paesi europei hanno elevato le calciatrice alla pari dei calciatori, che cosa stiamo aspettando?
Su questo punto (e soprattutto sulla questione degli stereotipi di genere) si focalizzerà la campagna AltriMondiali 2018 promossa da AltroPallone Onlus (via F. Confalonieri 3 Milano), organizzazione non-profit che realizza progetti, campagne di comunicazione e sensibilizzazione utilizzando lo sport come strumento educativo e sociale. Lavora in Italia e nel Mondo attraverso azioni mirate promuovendo l’integrazione, le pari opportunità, e lottando contro ogni tipo di discriminazione. Con la recente esclusione della Nazionale Italiana Maschile di Calcio dal Mondiale di Russia 2018, la campagna ha una maggiore opportunità di trasmettere le sue idee e aprire gli occhi su tematiche troppo spesso oscurate dall’ignoranza e dall’omertà.
Per restare sempre aggiornati sullo svolgimento della campagna AltriMondiali 2018 consultare il sito: www.altrimondiali.it
Orange the world!