Hanno ragione loro. Dentro c’è molto di più. Ma molto per forza di cose, resta fuori. Ed altro, poi, manca senza ragione apparente e senza necessità.
Manca la libertà, ovviamente. E tutti i suoi indispensabili accessori e le sue conseguenze. Mancano gli affetti, il lavoro (se non poco e per pochi), le relazioni, il cibo decente. Manca il mare, lo sport. Manca l’intimità della solitudine e la possibilità di scegliere con chi condividere gli spazi, peraltro angusti, come possono essere quelli di una cella in cui vivono altre 5 persone sconosciute . Manca l’aria e la luce. Mancano molti suoni e la possibilità di insonorizzarne altri. Manca un orizzonte nel quale fare spaziare occhi e anima. Manca la possibilità di amare fisicamente.
Ma “dentro” c’è comunque “molto di più” di queste (e molte altre ) mancanze. Come recita il logo delle magliette create dalle persone detenute nel carcere di Marassi e vendute dalla bottega equo solidale .
Molto di più di quanto ci si immagina. Molto di più di quanto l’insano sistema carcerario tenti di sottrarre a chi dentro è costretto a vivere o ci lavora. Dentro, nonostante il sovraffollamento endemico, nonostante il disagio strutturale e la sofferenza ineludibile, persiste in qualche forma la speranza, a volte, ma non necessariamente, sostenuta dalla fede. Speranza di uscire, ovviamente, prima o poi, ma molto meglio prima. Di lavorare. Di ricevere una visita o una lettera. Di essere ricordati, perdonati e attesi. Speranza in nuove leggi o anche solo nel rispetto delle norme gà esistenti ed in particolare dei precetti costituzionali e convenzionali che proteggono la dignità umana come bene primario e inviolabile, che vietano le pene inumane e impongono la rieducazione come finalità della detenzione.
Speranza nel cambio di giro della ruota della fortuna. Di essere creduti o almeno ascoltati.
Dentro ci sono le storie, tutte straordinarie, di persone normali che sono inciampate spesso solo perché non hanno trovato un sostegno adeguato, che hanno perso l’equilibrio e che sono, infine, cadute.
Dentro, tra i 728 uomini che affollano il nostro carcere cittadino (con una capienza di 456 persone) puoi incontrare cinque signori un po’ agèe, costretti sulla sedia a rotelle, e guardandoli non riesci ad immaginare pena peggiore di questa doppia privazione della libertà, di questo vivere in un corpo che è già una gabbia rinchiuso a sua volta in un’altra gabbia, che ti costringe per qualsiasi bisogno a dipendere da altri che non ti sei scelto.
Dentro ci sono oltre trecento persone che hanno problemi di dipendenza. Tantissimi che soffrono di varie forme di disagio psichico. Dentro c’è la nostra gioventù: moltissimi ragazzini di 18 e 19, con gli sguardi ancora puliti e spersi.
Dentro c’è questo giovane africano, piccolo, con il collo sottile infilato tra le sbarre e la testa che ruota, sembra un passerotto impazzito, e chiama per nome tutte le donne che ha conosciuto. Ha commesso un reato contro il patrimonio, ma lo ha fatto in maniera plateale, cinematografica, di modo da essere sicuro “che qualcuno finalmente si accorga di me”
Dentro c’è rabbia, solitudine, ci sono regole insensate, errori, disagio.
Dentro c’è’ disperazione. Ma anche la resilienza, suo frutto migliore.
Dentro si fanno progetti e a volte si realizzano: come l’area verde, o il teatro cittadino o la nuova sala di musica voluta e sovvenzionata da Haidi Giuliani.
Dentro ci sono i volontari e tra questi dei vispi pensionati che provano a fare da ponte col mondo esterno per sbrigare questioni burocratiche. Offrono il loro ascolto privo di giudizio.
Dentro c’è davvero molto di più.
Alessandra Ballerini
(l’articolo è stato pubblicato oggi su la Repubblica di Genova, che si ringrazia, in versione ridotta)
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