Sono passati 25 anni dalla pubblicazione di Trainspotting, esordio narrativo dello scrittore scozzese Irvine Welsh, seguìto dal prequel Skagboys e dal sequel Porno, pubblicati più tardi. Il romanzo è ambientato a cavallo degli anni ’80-’90 e vede protagonista «un pugno di ragazzi a Edimburgo e dintorni: il sesso, lo sballo, la rabbia, il vuoto della giornata. Sono i dannati di un modernissimo inferno chimico, dalla vita sfilacciata e senza scampo. Alla ricerca di un riscatto, di un senso da dare alla propria esistenza – che non sia il vicolo cieco fatto di casa, famiglia e impiego ordinario – trovano nella droga e nella violenza l’unica risposta possibile […]» (recensione dall’edizione Guanda).
Il libro è diviso in più parti, ciascuna delle quali raccontate da un personaggio diverso (a volte sostituito da un narratore esterno onnisciente) e incentrate su un avvenimento particolare, tanto che Trainspotting sembra essere una raccolta di brevi storie indipendenti. Ogni personaggio ha uno stile narrativo differente, spesso di difficile scorrevolezza, e fa uso di un linguaggio particolare, tipico di tutte le opere di Welsh: si tratta di uno slang che adopera i termini più sboccati, volgari e squallidi, molto presente nei dialoghi e nei pensieri dei protagonisti, dando così un certo tocco grottesco alle vicende.
Trainspotting è un romanzo affollato di personaggi, alcuni dei quali quasi sempre presenti e altri ancora di semplice comparsata. Il main character è rappresentato dall’anti-eroe Mark Renton (soprannominato Rent Boy o Rents), ragazzo poco più che ventenne, intelligente e di buona cultura, ma che abbandona l’università (dato presente in Skagboys) ed evita di trovare un lavoro, devolvendo la sua vita all’eroina, non per vittimismo o per moda, ma perché unico mezzo per vincere l’insensatezza e la noia di un’esistenza fatta di canoni sociali, conformismo passivo e atteggiamenti perbenisti, che lo portano a un senso di soffocamento e oppressione. Nemmeno i suoi presunti amici, anche loro tossicodipendenti, sembrano alleviarli tale disagio. Tra questi spiccano Daniel Murphy (detto Spud), ingenuo e inetto, dedito a qualche furtarello; Simon Williamson (alias Sick Boy), intellettualoide tronfio che ostenta cultura e si crede superiore agli altri; e infine Francis Begbie (o Begbs o Franco), psicopatico e violento, pronto ad estrarre il coltello in qualsiasi occasione (in Porno viene arrestato per omicidio), che però rifiuta l’eroina preferendo l’alcool. Ragazzi dediti a furti e vandalismo, risse nei locali e allo stadio, promiscuità sessuale, droghe e alcool. Ragazzi che vivono nel degrado la loro solitudine, ai margini di una società consumistica alienante, destinati quindi a deragliare e, in casi estremi, a morire di AIDS, piaga sociale che ha raggiunto il culmine negli anni ‘90 (ma non è il caso dei protagonisti elencati sopra). Il romanzo si conclude con Renton che scappa con i soldi ricavati vendendo droga a dei trafficanti, tradendo così i suoi amici (che tanto amici non sono) con cui aveva fatto il colpaccio e partendo per un altro Paese dove condurre una vita “normale”, quella che tanto disprezzava e a cui non voleva omologarsi, lasciando così un senso di vuoto nel lettore.
Ad accrescere la popolarità di Trainspotting ha contribuito notevolmente l’omonimo film (1996) diretto da Danny Boyle, pellicola divenuta ben presto un cult generazionale, con Ewan McGregor – tra gli altri – nel ruolo di Mark Renton e una colonna sonora che vanta artisti come Lou Reed (Perfect Day, nella scena del trip mentale di Renton, quando va in overdose) e Iggy Pop (Lust for Life, nella scena iniziale in cui i ragazzi vengono inseguiti dopo aver commesso un furto), quest’ultimo citato più volte nel romanzo come cantante preferito di Renton. Nel film Boyle è riuscito perfettamente a ricreare l’atmosfera presente nel romanzo di Welsh, soprattutto nelle sue sfaccettature grottesche e astratte. Scene divenute celebri sono, ad esempio, quella in cui Renton entra in uno squallido bagno pubblico e s’infila completamente in un water per cercare le supposte di oppio che si era appena messo, ma che aveva espulso in seguito ad un attacco intestinale, conseguenza per l’uso di eroina; oppure quella nella quale Spud, che come Renton soffre di costipazione, si sveglia una mattina nel letto della fidanzata, scoprendo di essersela fatta addosso: non servirà a nulla nascondere l’accaduto, perché la madre della fidanzata cercherà di prendere le lenzuola sporche, che Spud prova con forza a nascondere dietro di sé durante la colazione, cospargendo così il contenuto addosso alle persone presenti. Ma la scena più suggestiva è quella in cui Renton, costretto a letto dai genitori, dopo che le cliniche per disintossicarsi avevano fallito di curarlo, è affetto da spasmi per astinenza da droga e allucinazioni strazianti, come quella della neonata che gattona sul soffitto e a cui si gira la testa, per poi cadere con tutto il corpo addosso a un Renton urlante. La bambina nella realtà del film (e del libro) è la figlia di Sick Boy, ma muore (probabilmente) di fame e stenti, perché trascurata dai genitori troppo occupati a drogarsi in un ambiente insalubre e squallido, una vicenda drammaticamente reale ancora oggi. Nel 2017 c’è stata anche la trasposizione cinematografica del sequel Porno, ma con il titolo più commerciale di Trainspotting 2.
Perché questo titolo? Trainspotting allude a un episodio del romanzo intitolato “Guardando i treni alla stazione centrale di Leith”, in cui Renton e Begbie vengono raggiunti da un senzatetto (che si scoprirà essere il padre del secondo), mentre stanno urinando nella dimessa stazione del quartiere edimburghese. L’uomo chiede ai due ragazzi se stanno facendo del trainspotting, ossia se stanno ammazzando il tempo guardando i treni in transito, attività che viene rappresentata e praticata per vincere la monotonia pure nel film. Si potrebbe pensare che trainspotting sottintenda metaforicamente anche il perdere i treni della vita, quindi le occasioni. Ma ognuno fa le proprie scelte e non è detto che siano sbagliate solo perché “diverse” dal senso comune, per quanto possa essere strano dirlo.
«Scegliete la vita; scegliete un lavoro; scegliete una carriera; scegliete la famiglia; scegliete un maxitelevisore del cazzo; scegliete lavatrici, macchine, lettori CD e apriscatole elettrici. Scegliete la buona salute, il colesterolo basso e la polizza vita; scegliete un mutuo a interessi fissi; scegliete una prima casa; scegliete gli amici; scegliete una moda casual e le valigie in tinta; scegliete un salotto di tre pezzi a rate e ricopritelo con una stoffa del cazzo; scegliete il fai da te e chiedetevi chi cacchio siete la domenica mattina; scegliete di sedervi sul divano a spappolarvi il cervello e lo spirito con i quiz mentre vi ingozzate di schifezze da mangiare. Alla fine scegliete di marcire, di tirare le cuoia in uno squallido ospizio ridotti a motivo di imbarazzo per gli stronzetti viziati ed egoisti che avete figliato per rimpiazzarvi; scegliete un futuro; scegliete la vita. Ma perché dovrei fare una cosa così? Io ho scelto di non scegliere la vita: ho scelto qualcos’altro. Le ragioni? Non ci sono ragioni. Chi ha bisogno di ragioni quando ha l’eroina?» (Mark Renton, dal film Trainspotting).