Sulle tracce dello Spirito del Natale
Natale 2016. –“Quest’anno a Natale volevo scappare. È che spesso a Natale mi viene il magone con le luci, il presepe e tutte quelle persone, con i pacchi dei regali, con le facce tutte uguali, col boccone sempre in bocca come un branco di maiali”- . Così canta il celebre cantautore Brunori Sas in occasione della celebrazione della festa “religiosa” più sentita dell’anno.
E se da un lato alcuni potrebbero gridare all’eccessivo cinismo o alla più empia blasfemia, dall’altro c’è chi invece potrebbe trovare in simili considerazioni un valido punto di partenza per ponderate riflessioni.
Questo è il periodo delle lucine, delle canzoni, dei presepi, dei panettoni e dei torroni. Nell’aria si respira un sapore di allegria e sorrisi. Le strade, i negozi e le città sono tutte un luccichio di decorazioni, giocattoli e regali. I mercatini di Natale spuntano qua e là negli angoli delle città (e, a volte, un camion passa per caso e se li porta via).
L’atmosfera di festa è in ogni dove e in questo diffuso sentimento di gioia tutti vorrebbero (o dovrebbero?) sentirsi più buoni. Ma la realtà è che il Natale, per come spesso è inteso dalla moderna società civile, è ormai quasi interamente una festa all’insegna del più selvaggio consumismo.
Qualcuno potrebbe dire che al giorno d’oggi si è perso il vero Spirito del Natale, ma una buona premessa potrebbe essere chiedersi qual è il vero Spirito del Natale, o meglio, esiste uno Spirito del Natale? Stando alla letteratura anglosassone ne esistono addirittura tre: Spirito del Natale presente, passato e futuro. Spostando la lancetta del tempo più indietro nei secoli, ritroviamo le prime celebrazioni nel IV sec d.C. con l’istituzione della rappresentazione della Natività di Gesù ad opera del Papa Liberus.
Guardando al mondo del Nord Europa e delle popolazioni celtiche invece, molto diffuse e popolari erano le commemorazioni del solstizio invernale.
Ed oggi? Come vive realmente il periodo natalizio l’era dell’ormai (post?)-consumismo?
Se da un lato gli irriducibili del profitto individuano nel Natale il maggior stimolo annuale per l’economia, caratterizzato da fattori fondamentali come: aumento delle vendite, prezzi concorrenziali, introduzione di nuovi prodotti e perché no, saldi di gennaio con il tradizionale “svuota magazzino”; dall’altro i religiosi e gli anti-consumisti lamentano una devastante e assolutista “commercializzazione del Natale”. E come poter dare loro torto se alla fine dei giochi gli indiscussi protagonisti del mese risultano essere: dominio del denaro, acquisti frenetici, puntuale ed immancabile fabbrica del cine-panettone, stress da obbligo dei regali (ai più cari ma anche ai meno cari) e plastici sorrisi augurali?
E se in un certo senso possiamo pensare di dare la colpa alla complessa e consumistica epoca in cui viviamo se risultiamo carenti del vero significato della parola “dono” e non siamo più in grado di cogliere la giusta spiritualità (o predisposizione) per l’annuale incontro con spirito e festeggiamenti, occorre ricordare che la madre della moderna civiltà occidentale ci insegna che la stessa vita umana non è altro che un “abbandono” da parte di divinità (odierno capitale finanziario) lontanissime ed indifferenti verso la sofferenza e la mortalità terrena. Ma, allo stesso tempo, è sempre la culla della cultura di tutti i tempi che non pecca nel rammentarci della celebre invidia divina, appartenente a numi tanto malevoli verso gli uomini proprio perché gelosi della precarietà e quindi insindacabile unicità della loro vita.
Ed è in virtù di tale tradizione culturale che forse, un giorno all’anno, dovremmo provare a fermarci un istante, mettere da parte problemi, difficoltà e preoccupazioni, stoppare il frenetico accumulo e (quantomeno) tentare di godere dell’esclusività di ciò che già, per nascita o per diritto, inevitabilmente possediamo.
il disegno della slide di copertina è tratto da “Quella volta che in Francia impiccarono Babbo Natale” pubblicato su Popoffquotidiano.it che ringraziamo.