Nelle scorse settimane -leggiamo su La Giornata Tipo– un collaboratore del Papa ha contattato il sindacato dei giocatori NBA (l’NBPA) “perché Francesco è rimasto molto colpito dalle battaglie, dall’impegno e dai messaggi sociali promossi da tanti giocatori durante gli ultimi playoff. Per conoscere le loro esperienze e per capire meglio come hanno vissuto anche delicate vicende sulla propria pelle, questa mattina (lunedì 23 novembre, ndr) ha ricevuto in udienza privata una delegazione composta da giocatori con storie molto diverse ma ugualmente impegnati nel sociale: Marco Belinelli, Kyle Korver, Sterling Brown, Jonathan Isaac e Anthony Tolliver“.
La NBA, accogliendo le richieste degli atleti, aveva fatto dipingere sul parquet le parole “Black Lives Matter” e permesso agli stessi giocatori di apporre messaggi sulle magliette al posto del nome. Ovviamente, Donald Trump non aveva gradito e, cavalcando il calo di ascolti delle finali, aveva dichiarato che l’attivismo della National Basketball Association avrebbe finito per “distruggere il basket“. Ma per Patrick Crakes, consulente ed ex dirigente della rete Fox Sports, il calo del pubblico è dovuto principalmente alla “forte concorrenza“: per la prima volta nella storia, infatti, tutti e quattro i principali campionati, Nba, Mlb (baseball), Nhl (hockey) e Nfl (football americano) hanno giocato in contemporanea a settembre e tutti ne hanno risentito, con flessioni significative negli ascolti. Diversi esponenti del Partito Repubblicano e commentatori conservatori avevano attribuito il crollo alla “politicizzazione della Nba“, cominciata con lo sciopero dei giocatori per protestare contro il ferimento del 29enne Jacob Blake, colpito alle spalle con sette proiettili da un poliziotto a Kenosha, in Wisconsin.
Trump, nel corso di uno degli ultimi comizi elettorali, in Pennsylvania, è poi tornato sull’argomento, alimentando la (sua) polemica contro gli atleti NBA e, in particolare, contro LeBron James: “Mi dispiace per loro, nessuno ha guardato le finali. Sapete una cosa? Quando non rispettano il nostro Paese, quando non rispettano la nostra bandiera, nessuno vuole vederli giocare“. Una retorica trita, stucchevole e, al solito, in malafede da parte di The Donald, più volte sconfessata dagli stessi atleti -sia NBA che NFL- che non hanno mai inteso il gesto di inginocchiarsi all’inno come affronto verso il Paese o verso la bandiera a stelle e strisce. Ma, in un comizio elettorale, spesso vale tutto, corretto o scorretto che sia, e la reazione della platea di Apoca (con il coro “LeBron James sucks“) era riuscita a galvanizzare il Presidente. Beh, l’ex Presidente. In ogni caso, il gesto del Papa, se mai ce ne fosse stato bisogno, annichilisce le parole di un uomo che il mondo si augura di poter dimenticare molto in fretta.
Stefano Piazza