L’Italia non è un paese per giovani (adulti)?

Un eco rimbombante quello del NO alla Riforma costituzionale proposta dall’ormai ex Premier del Paese. Una posizione precisa espressa dai fratelli maggiori (25-34 anni) della nuova generazione italiana (18-24 anni) e sostenuta a gran voce dalle fasce della popolazione più in difficoltà del (sud del) Bel Paese.

Un’affluenza degli aventi diritto del 68,48%, una partecipazione tanto alta da non essere registrata dalla tornata referendaria del 1993, quando, in piena era post tangentopoli, si decideva di abolire il proporzionale e il finanziamento pubblico ai partiti.

Ma, alla luce dei risultati preannunciati dai sondaggi e  successivamente confermati dalle urne, occorre riflettere bene sui dati emersi dalla volontà popolare prima di dare vita alla nuova compagine (ormai partorita) e alla strategia del neonato esecutivo. Perché, se da un lato la percentuale dei Sì è tutta dei giovani renziani, dall’altro l’idea del governo di puntare principalmente sul senso di responsabilità dei suoi elettori più fedeli, si è rilevata efficace, ma non troppo.

Con un dato rilevato da YouTrend del 65,8% per il NO nei 100 comuni con più disoccupati e del 59% per il Sì nei 100 comuni con meno disoccupati, giovani e disoccupati (o giovani disoccupati) hanno gridato alla non occorrenza della riforma per far cambiare il Paese.

La verità è che il NO all’ex Capo del Governo trova le sue radici non tanto negli strati della popolazione quanto piuttosto in radicati, sgradevoli (ri-)sentimenti come: incertezza sul futuro, senso di solitudine e sfiducia nelle opportunità nazionali o nelle istituzioni. Di altrettanto rilievo è stata inoltre l’opinione di quelle fasce della popolazione più in difficoltà, appartenenti per lo più alle province del sud e alle isole. Per citare un’espressione dei frati di Assisi: “il Paese bocciato dai paesi. Il NO delle famiglie che non arrivano a fine mese e sono stanche della politica”.

Ma se l’ex Premier ha mancato l’obiettivo di mobilitare i più giovani, presentando una proposta che non è apparsa come una convincente soluzione per la crisi, allora forse, si potrebbe parlare più di un voto sociale che politico. Anche se il significato “politico” del voto è indubbio. Sottolineato non solo dalla misura raggiunta dai NO, ma, anzitutto, dalla rilevante partecipazione elettorale riscontrata. Molto più elevata rispetto ai precedenti referendum costituzionali. Sia l’affluenza al voto, sia il risultato del Sì riflettono il dato di fatto che molte cose son cambiate nel Paese. La crisi, in particolare, ha generato incertezza e ha (ri-) aperto antiche, e forse mai colmate, divisioni territoriali. Si è nuovamente accentuata la distanza rispetto al Mezzogiorno, area in cui il NO ha raggiunto risultati fra i più elevati. Ma in realtà, anche nel Nord l’affluenza e il distacco nei confronti del referendum sono apparsi ampi ed estesi. Perché se da un lato l’economia non funziona più come un tempo, dall’altro, sul piano generazionale, la sfiducia espressa dai giovani con il voto è decisamente significativa.  La generazione degli anni ’80, quella degli invisibili, vive attualmente il moto costante della fuga. In continuo movimento alla ricerca di un  lavoro e di un futuro sostenibile, i “giovani adulti” vivono sospesi. Non più giovani, ma non ancora adulti perché non indipendenti, sono dei contenitori vuoti. Privi di speranza e carenti di fiducia, vivono, spesso in età matura, tra le compatte mura di una prigione chiamata famiglia. “Gli invisibili” vorrebbero diventare autonomi ma non se lo possono permettere. La legislazione in materia così com’è non li aiuta, e se non verrà data loro presto una risposta è l’intero Paese che rischia di on avere più un futuro.

Perciò, un NO, quello italiano, non tanto finalizzato ad evitare una pericolosa minaccia all’equilibrio costituzionale (mai realmente rispettato?), quanto piuttosto diretto a rappresentare un semplice voto contro il governo in carica. Un sentimento contro qualcuno che è espressione di governo più che contro la riforma. Un ri-sentimento collegato al malessere sociale che, pervadendo quelle aree della penisola maggiormente battute dal disagio economico e occupazionale, si scaglia contro un giovane Premier che non è stato dalla parte dei giovani.

Ma allora, qual è il vero significato di questo voto? Da dove proviene? Dove è diretto? Quali i suoi obiettivi?

Forse, prima di instaurare un probabile “Governo fotocopia”, sperando in una repentina azione parlamentare che restituisca ai cittadini l’inviolabile sovranità popolare, bisognerebbe fare un passo indietro, prendere atto di determinati quesiti, cercare le risposte, evidenziare errori, protagonismi e lacune precedenti, scansionare l’intero file e consegnare un fascicolo che non si presenti come un fardello, sterile retaggio di un inglorioso passato, ma piuttosto come un esordio per un prospero futuro.

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