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Celeste è nata a Como 33 anni fa sotto il segno dello scorpione e da anni vive nella sua amata Milano, dove insegna Hatha e Vinyasa Yoga.

E’ dotteressa di ricerca in lettere antiche e si avvicina allo Yoga spinta da un grande interesse per le discipline umanistiche in senso ampio. Il cammino che la conduce alla pratica dello Yoga è complesso e ricco di esperienze variegate: attraverso la ricerca accademica approfondisce le origini della spiritualità; attraverso la danza classica e contemporanea si appassiona allo studio del movimento; attraverso la danza terapia sperimenta il legame profondo che unisce il corpo e la mente. L’incontro con lo Yoga, che non a caso significa “Unione”, segna l’inizio di un nuovo cammino in cui tutti i suoi interessi possono finalmente coesistere in armonia.

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Proprio a Milano Celeste conosce i suoi primi, preziosi maestri, che la guidano nell’approfondimento della pratica personale: Barbara Zerbini, Luca Compare, Maurizio Morelli e Lisetta Landoni sono alcuni degli insegnanti che tutt’ora nutrono la sua quotidianità nella pratica. Il desiderio di sperimentare la spinge fino a New York, dove studia con Sri Dharma Mittra, ma è senza dubbio la permanenza in India a segnare una vera e propria trasformazione interiore. Questa terra diventa per lei una casa e un tempio a cui fare ritorno per ricongiungersi con la vera pratica. Durante i suoi soggiorni presso Mysore ha studiato le asana, il pranayama e la filosofia con Vinay Kumar, Ramesh Kumar, Chidananda e NagaraJi.

Attualmente Celeste si dedica alla conoscenza di se stessa attraverso la chiave dello Yoga e alla condivisione del suo percorso con i suoi allievi. Sogna di andare presto nell’India del Nord, di approfondire i suoi studi in Italia con Lisetta Landoni e Gabriella Cella, di ricominciare a danzare e di riuscire a esprimere nelle sue lezioni tutta la passione che sente.

Hai un ricco background di insegnanti ed esperienze nell’ambito dello Yoga, oltre che uno studio approfondito della genesi dello Yoga, delle scienze umane e del movimento. Grazie al connubio di tutti questi fattori hai portato una prospettiva molto eclettica alla pratica dello Yoga. Che tipo di insegnante ti definiresti e che tipo di Yoga insegni?

Il nome più corretto per indicare lo Yoga che insegno sarebbe “Hatha” o “Hatha flow Yoga” , ma faccio fatica a costringere la mia pratica dentro a una definizione, perché in realtà mi sento sempre “alla ricerca”. Credo che lo Yoga non si definisca in base al tipo di sequenze o posizioni che facciamo sul tappetino; la pratica è tale quando ci consente di entrare profondamente in contatto con noi stessi attraverso il respiro. Ci sono molti validi metodi per creare questo contatto; io cerco di usare la gentilezza e la sensibilità. La mia priorità è che le mie lezioni siano uno spazio protetto in cui ciascuno si senta “adeguato” e libero di fare i suoi tentativi senza sentirsi sotto pressione o giudicato.

Come è entrato lo Yoga nella tua vita? Cosa ti ha attirato all’inizio e cosa poi ti ha motivato a diventare a tua volta una insegnante?

Come accade a molti, ho pensato a lungo di praticare Yoga e ho fatto vari tentativi senza riuscire mai a cominciare davvero. Non ero pronta, e ogni lezione mi sembrava “troppo noiosa” o “troppo faticosa”. Ho avuto bisogno che la mia migliore amica mi spronasse a ritentare al momento giusto, quando ero in grado di recepire senza paura la reale profondità dell’esperienza. Ho avuto la fortuna di trovare dei maestri che mi hanno molto stimolata a perseguire questo amore e il passaggio verso l’insegnamento è arrivato in maniera spontantea e non del tutto ricercata: era un desiderio che proiettavo verso un futuro indefinito. Mi sono però concessa (e mi concedo) di aderire con gratitudine a tutte le proposte che arrivano, consapevole che nello Yoga si diventa pienamente insegnanti solo con l’esperienza e con l’età, salvo casi eccezionali.

Come definiresti la spinta che ti ha portato a cambiare la tua strada passando dal mondo universitario a quello della pratica spirituale e motoria? Credi ci sia una continuità tra i tuoi studi come ricercatrice universitaria in lettere antiche e l’insegnamento dello yoga? Quanto il tuo background culturale ti ha aiutato nell’assimilazione dei principi alla base della pratica e ti aiuta oggi a trasmetterli, oltre che a mantenerti sempre aggiornate sulle rapide evoluzioni di questa disciplina?

Nonostante il passaggio dal mondo accademico a quello dello Yoga appaia dall’esterno come un “colpo di testa”, io sento profondamente la continuità tra questi spazi. Il trait d’union, per me, è l’amore per la conoscenza. Senza dubbio la ricerca scientifica mi ha aiutata ad affinare il senso critico e ad acquisire alcuni strumenti logici e razionali; ma la mia indole tende verso ciò che non si può davvero spiegare con un assioma: l’essere umano, il mistero del corpo e del respiro, le intuizioni che ci attraversano, l’invisibile. Per saziare queste domande i cinque sensi e il corpo funzionano meglio dei libri, e la meditazione porta più luce di una tesi inconfutabile. Senza dubbio il mio background mi aiuta a orientarmi in un contesto in cui spesso ci si confronta con delle “verità” costruite in modo un po’ troppo superficiale.

Lo Yoga sta attraversando un tempo di grande crescita, propagazione, cambiamento e trasformazione. Da pratica meditativa e introspettiva, oggi sembra essere percepito più come pratica sportiva o corretto stile di vita. Qual è la tua opinione sulla rapidissima diffusione dello yoga in Occidente?

Credo che la diffusione della pratica dello Yoga racconti un’esigenza profonda di riscoperta di certi valori come il recupero di tempi e spazi che la nostra società non concede. Quanto esteriori o interiori siano questi tempi e questi spazi dipende da ogni praticante, e credo che ciascuno spontaneamente converga verso il tipo di risposta adatta a lui in un dato momento. Non bisogna dimenticare che la scoperta della dimensione più autentica e spirituale della pratica può anche arrivare come esito di un percorso che comincia attraverso una riappropriazione più “sportiva” del piacere del corpo. Insomma, cerco di non giudicare e di trasmettere uno Yoga serio e profondo.

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Durante il tuo secondo viaggio in India hai intrapreso un percorso di ricostruzione della genesi dello Yoga attraverso pillole-video diffuse tramite i più comuni social. Che rapporto hai con i social e con la condivisione di una scienza antica tramite canali moderni?

Non ho nessun pregiudizio sull’uso dei social per la condivisione di contenuti a tema yogico, anzi, credo che la tecnologia ci offra una grande possibilità di essere visibili, chiari e scoperti. Allo stesso tempo, penso che questa possibilità porti con sé una responsabilità e una sfida: quella di semplificare senza svuotare di senso. Insomma: mantenere alta la qualità dei contenuti è il mio personale obiettivo. Io amo comunicare e sono decisa a non reprimere questo desiderio per perseguire un’austerità che appartiene alla vita yogica solo in apparenza: finché la comunicazione è pacifica (ahimsa), veritiera (satya), onesta (asteya), appagante e senza doppi fini (aparigraha), rispetta pienamente i precetti di questa disciplina. Non dovremmo però dimenticare il principio della “continenza” (brahmacharya): se la vita sui social ci sottrae troppa energia, è bene accorgersene e ridimensionarla.

Come costruisci una tua lezione? Pur avendo preparato in anticipo una lezione, quanto è importante la capacità di improvvisare basandosi sulla realtà del momento?

Ti ringrazio per questa domanda che mi permette di parlare di un aspetto molto importante del mio modo di insegnare. Visto che il mio obiettivo è prima di tutto aiutare le persone a “sentire” il corpo, ho sempre bisogno di lasciare ampio spazio all’improvvisazione. Calibro le lezioni in base alle persone che ho davanti, alle sensazioni che mi sembra di ricevere durante la sequenza e anche in base alla stagione, alla condizione atmosferica, al momento della giornata e alla fase lunare. Per poter gestire in sicurezza questo approccio, però, mantengo due regole fisse: la sequenza segue un percorso definito che procede dall’esterno all’interno(dalle grandi fasce muscolari verso gli organi interni) attraverso la cura del respiro; propongo solo posizioni che ho lungamente praticato e che non mettano a rischio l’incolumità degli allievi.

Ti capita mai che le tue istruzioni, per quanto attente e ben presentate, siano fraintese da uno o più dei tuoi studenti? Credi di essere efficace nello strumento della comunicazione? Quanto ritieni sia importante il “giusto” modo di comunicare al giorno d’oggi rapportato a una pratica tanto antica e spirituale come lo Yoga? 

Sono convinta che da parte degli allievi non esistano “errori”: ciascuno recepisce ciò che può intendere in un dato momento. In questo senso, credo che ciascuno riesca a trattenere da una lezione le cose che gli risuonano e che gli servono. Da parte mia, credo che la comunicazione sia importantissima e sono molto attenta alla scelta delle parole e delle immagini con cui trasmettere la pratica. Penso che facciano la differenza e che determinino la sostanza dell’insegnamento. Con il tempo sto cercando di parlare di meno, di dare meno imput e soprattutto di non fornire risposte preconfezionate. Stimolo l’attenzione degli allievi verso un punto del corpo o un’immagine, ma lascio che siano loro a costruire un rapporto con questo stimolo.

Credi anche tu, come altri maestri, che alcune famose sequenze di Yoga siano rischiose o pericolose? Credi che Il rischio sia inerente alla sequenza, oppure dipenda dall’esperienza e dalla consapevolezza con cui è messa in pratica? L’approccio occidentale è spesso competitivo, avvicinando sempre più la pratica a uno sport vero e proprio. Credi che questo atteggiamento agonistico influenzi il modo in cui facciamo e insegnamo Yoga?

Credo che questo discorso sia molto delicato. Quello che mi sento di dire è che lo Yoga non è una disciplina “all’acqua di rose” e – citando la mia maestra – è talvolta più simile a una medicina amara che a una caramella. Lo Yoga agisce in profondità sul praticante e talora la trasformazione che mette in moto può manifestarsi anche attraverso l’infortunio fisico o il dolore. Alcune sequenze, derivanti dalla tradizione indiana più classica, sono molto intense e potenti. La vera sfida per chi in occidentale si accosta a questi stili è non fare confusione: la potenza non va confusa con la violenza, la progressione nelle asana non va confusa con l’obiettivo della pratica, l’impegno non va confuso con l’accanimento, l’intenso uso del corpo non va confuso con la ginnicità. Allo stesso modo è importante non cadere nel tranello opposto e far coincidere la staticità con la meditazione. Insomma, occorre smantellare tanti preconcetti e tenere presente che lo Yoga dipende dalla qualità del respiro e da ciò che sta accadendo DENTRO al corpo mentre si pratica.

Oltre agli aspetti più prettamente fisici, insegnare yoga richiede consapevolezza, presenza, concentrazione e sensibilità. Possiamo considerare l’insegnamento una pratica yoga di per sé?

Assolutamente sì: credo che l’insegnamento dello Yoga sia una grande pratica. Quando si insegna non si può essere meccanici, occorre tirare fuori una presenza fortissima, totale, in grado di sostenere e supportare anche quella degli allievi. L’insegnamento ci mette di fronte a noi stessi e alle tematiche karmiche su cui stiamo lavorando. Insegnare in questo modo, lavorare in questo modo, vivere in questo modo – a prescindere da quello che facciamo – è praticare.

Grazie Celeste per la tua disponibilità e chiarezza. Come saluteresti i nostri lettori yogi?

Grazie a te e a chi ha dedicato il suo tempo a leggere. Li saluterei con l’augurio di trasformare ogni gesto della loro quotidianità in una pratica.

Per info e contatti:

valenticeleste@yahoo.it

www.facebook.com/yogacelestevalenti

Instagram: i_go_yoga

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