Milano progetta di cambiare diventando “città 30” a partire dall’anno prossimo, nel 2024. L’idea è stata introdotta ad inizio anno in Consiglio comunale ed è piaciuta.
Cosa significa “città 30”? Si tratta di imporre il limite di velocità in area urbana non a 50 ma a soli 30 km orari. Un cambiamento netto, che non può piacere a tutti, ma che ha delle conseguenze importanti, non solo a livello ecologico, ma anche sociale, urbanistico, commerciale.
Innanzitutto la decisione comporterebbe maggiore sicurezza nella città. In Italia le statistiche di morte per incidente sono rilevanti: secondo l’Istat, più del 70% degli incidenti avviene in città piuttosto che in autostrada e l’eccesso di velocità è una delle cause principali degli incidenti. La morte per incidente è la prima causa di morte per i giovani.
Per dare qualche idea con i numeri, nel solo mese di gennaio 2023 sono morti 51 pedoni in Italia. Ogni giorno per incidente ci sono 561 feriti e 8 morti, 1 ogni 3 ore.
Ci sarebbero forti effetti per l’ecologia. La velocità a 30 km all’ora sarebbe un deterrente definitivo per l’uso dell’auto. In particolare, considerando che il 60% degli spostamenti urbani consiste in brevi distanze da 3-5 km, prendere l’auto sarebbe assurdo.
Non trascuriamo poi l’effetto sull’inquinamento acustico. In una città 30 cambierebbe anche il suono della città, dove i motori girano bassi. Forse qua e là si sentirebbe qualche impropero impaziente… Ma circondato da cittadini che si sono invece adeguati alla situazione e usano di più i mezzi, bici, monopattini, persone che si incrociano per strada e forse chiacchierano tra di loro.
Infatti una città 30 è un’idea rivoluzionaria anche per il tessuto urbanistico e sociale.
Decidendo di passare ai 30, non si tratta solo di ritoccare i limiti di velocità. L’intero piano urbanistico viene ritoccato: la struttura della città cambia totalmente.
Per quanto riguarda le strade per le auto, vanno ristrette di larghezza e anche come curvatura. Per indurre a ridurre la velocità vengono aggiunti dossi. Sono particolarmente indicati i cosiddetti “cuscini berlinesi”: sono dossi di dimensione ridotta, che non si estendono per tutta la carreggiata ma abbastanza per una auto; in questo modo non si influenza la velocità di mezzi più grandi e di utilità pubblica, come i bus o i mezzi di emergenza come quelli del pronto soccorso o dei vigili del fuoco.
Attenzione speciale viene data alle zone di attraversamento pedonale. Queste sono rialzate, per dare maggiore visibilità. E’ obbligatorio porre isole salvagente per tutte le strade larghe almeno 10 metri.
Diventano prevalenti le aree destinate ai pedoni. Addirittura, le zone vicino alle scuole vengono chiuse del tutto al transito delle auto. Così spuntano piazzette, aumenta l’arredo urbano con panchine e spazi per stare all’ombra. Le persone sono invitate ad uscire e a restare fuori dalla propria casa, ora che ci sono spazi appositi per loro anche in strada. Aumenta la possibilità di incontri, si crea un senso di vita di quartiere, di collettività.
E’ molto interessante pensare alle conseguenze economiche della riduzione della velocità.
Si può pensare subito malignamente che sia una ottima strategia per incamerare più soldi, prevedendo più multe e dove l’uso dei mezzi diventa una costrizione.
Oltre a ciò, l’amministrazione otterrebbe un risparmio, dato che strade meno ampie comportano meno costi di pulizia e di installazione di fognature e telecomunicazioni.
Due bei vantaggi per l’amministrazione – senonché la conversione a città 30 richiederebbe comunque una somma enorme di costi iniziali di investimento, proprio per reinventare e ricostruire gli spazi urbani.
Oltre che all’amministrazione comunale, vedrebbero le conseguenze anche i commercianti locali, che con l’aumento di passaggio di persone e di vita riceverebbero un aumento di affari.
Se tutto ciò suona rivoluzionario e persino fantascientifico, è perché siamo abituati all’idea della città sviluppata in base alle auto. Per valutare l’idea si tratta di cambiare prima la nostra concezione di cosa sia la città, quali i suoi scopi e quali le sue priorità.
In realtà questo genere di cambiamento è stato già sperimentato. E’ vero che finora si è trattato soprattutto di sole aree 30, più che intere città. La prima zona 30 venne istituita a Cesena nel 1998. Ma a divenire intera città 30 è stata per prima Olbia nel 2021 e medita di diventare prossima Bologna.
E’ soprattutto all’estero che possiamo trovare esempi di questo diverso modo di pensare.
Una delle sperimentazioni più note ed affermate è avvenuta a Barcellona, con la definizione di “superilles”: vaste aree pedonali, mentre il traffico delle auto viene relegato alle zone periferiche.
La Francia, famosa per la sua unità sociale, prevede nei piani urbani molte “zones de rencontre”, luoghi disseminati per le strade pensati per stare fuori e stare insieme.
In Olanda, dove le bici viaggiano ormai più delle auto, le strade sono costituite da “woonerf”, cioè strade ampie dalla pavimentazione continua, senza demarcazioni definite tra i vari tipi di utenti, così i pedoni non sono relegati ad uno stretto marciapiede ma danno spazio a bici e pedoni.
Sicuramente la città 30 è un progetto rivoluzionario ed impegnativo nelle ripercussioni verso la vita di autisti e cittadini. Soprattutto per Milano, che è una città con elevati flussi di transito ed abitudini consolidate. Tuttavia si tratta di un progetto innovativo da valutare con interesse.
Gemma Domenella