Secondo i dati del 2019, il fenomeno dei “cervelli in fuga” aveva interessato circa 300.000 italiani ogni anno e un totale di due milioni di migranti nel decennio precedente.
Confindustria aveva stimato un costo di perdita del capitale umano pari a quattordici miliardi di euro ogni anno, contestualmente ad un fabbisogno di quattro milioni di posizioni ancora non occupate che l’INAIL comunicava per i comparti pubblici della sanità, istruzione, difesa e burocrazia statale. Un gap non indifferente che, se in alcuni ambiti è stato colmato dai flussi migratori verso l’Italia, in altri contesti è rimasto ancora un vuoto da riempire.
Dopo aver analizzato le “Sfumature Azzurre”, tutti i calciatori che hanno disputato un mondiale in Nazionale senza essere nati in Italia, passiamo in rassegna ai “Polpacci in fuga”, tutti i calciatori nati in Italia ad aver giocato un mondiale senza la nazionale Azzurra.
Il primo calciatore nato in Italia a disputare un mondiale senza la divisa Azzurra si chiama Ernesto Servolo, nato a Buie d’Istria nel 1921 ed emigrato insieme alla propria famiglia in Argentina, aggregandosi a quel flusso migratorio transatlantico che a cavallo tra il XIX e il XX secolo vide imbarcarsi oltre 10 milioni di italiani per attraversare l’Oceano Atlantico.
La famiglia Servolo si stabilisce dunque in Argentina, nella provincia di Cordoba, dove, come molto spesso accade nelle famiglie migranti, decide anche di cambiare cognome; “Servolo” diventa “Vidal” e al piccolo Ernesto viene aggiunto un secondo nome: “José”.
Ernesto José Vidal, inizia a giocare nel Rosario Central ma il vero successo lo ottiene con la maglia del Peñarol, a Montevideo, in Uruguay. Mentre il secondo conflitto mondiale volge al termine, in un’Europa lacerata e distrutta dai postumi della seconda guerra mondiale, Ernesto, alla sua prima stagione a Montevideo vince il campionato uruguayano nel 1944 per poi vincerlo altre tre volte, nel ‘45,’49 e ‘51. Subito dopo i primi successi, richiede e ottiene la cittadinanza uruguayana che aggiunge a quella italiana e argentina già precedentemente ottenuta. Complice, forse, il panorama bellico che interessa l’Italia, Ernesto Vidal decide di aggregarsi alla nazionale dell’Uruguay, dove gioca da protagonista, disputando e vincendo il mondiale brasiliano del 1950 andando in gol contro il Ghana anche se un infortunio nella penultima partita contro la Svezia non gli permetterà di giocare la finale del Maracanã.
Il 14 dicembre 1969, a Sydney, si gioca lo spareggio tra la vincitrice della confederazione asiatica e della confederazione oceanica per strappare l’ultimo biglietto valido per il mondiale in Messico del 1970. Entrambe le squadre non hanno mai giocato un mondiale, sarebbero al loro esordio assoluto. All’andata, giocata a Tel Aviv, Israele ha portato a casa un 1-0 nei confronti dell’Australia, che nel ritorno giocato in casa non riesce ad andare oltre a un pareggio: Israele si qualifica per la prima volta alla fase finale della Coppa del Mondo.
La rosa israeliana giunta a in Messico è composta da 22 giocatori di cui ben 7 non sono nati in Israele. Tra di loro c’è anche il centrocampista Giorgio Borba, nato in Italia, a Macerata, nel 1944, da una famiglia ebrea originaria di Tripoli che si è trasferita in Israele dove Giorgio, conosciuto poi come George, inizierà una carriera calcistica di successo nel campionato locale e con la nazionale israeliana. Secondo il CIA Factobook del 2007, solamente il 67% degli israeliani sarebbe nato in Israele, e la nazionale che ha disputato finora l’unico mondiale ne è uno specchio fedele, con solamente il 68% di giocatori nati all’interno dei confini di Israele.
Nel mondiale in Qatar è tornata alla sua seconda presenza, dopo 36 anni di assenza, la nazionale canadese. Esordita nel 1986, al mondiale in Messico, la nazionale del Canada si distinse sfortunatamente per un record negativo della competizione: nelle tre partite del girone, infatti, non riuscì a segnare nemmeno una rete e perse tutti gli scontri. Incolpevole sui gol, a difendere la porta, uno dei portieri di maggiore successo della nazionale canadese: Martino Lettieri, detto Tino, nato nel piccolo comune di Toritto, nell’entroterra di Bari. Tra i primi anni ’50 e la metà degli anni ’60, tra i venti e i trenta mila italiani sono emigrati in Canada annualmente. Il Canada era un paese in forte crescita mentre l’Italia, soprattutto nelle regioni meridionali, cuciva ancora le ferite del conflitto mondiale e l’emigrazione era per numerosissime famiglie l’unica speranza per garantire un futuro ai propri figli. La famiglia Lettieri si stabilisce a Montreal, dove la comunità italiana è già molto folta, e avvia un’attività di panetteria. Tino aiuta il padre in negozio ma la passione per il calcio lo porta prima ad aggregarsi alla squadra locale dei Montreal Castors e poi a raggiungere l’America per vestire i colori dei Minnesota Kicks. Difese la porta della nazionale canadese per 24 volte e oltre ai mondiali dell’86, anche per due edizioni dei Giochi Olimpici. Ritiratosi l’anno successivo del Mondiale, lo si può ancora trovare presso il suo “Tino’s cafè pizzeria” in Minnesota.
Avrebbe fatto comodo alla nazionale italiana di questi ultimi anni un centrocampista di spessore come Thiago Alcantara, uno tra i dieci giocatori più titolati della storia del calcio, nato a San Pietro Vernotico, in provincia di Brindisi, figlio del calciatore del Lecce Mazinho e della pallavolista brasiliana Valeria Alcantara. Cresciuto in Italia mentre il padre militava in Serie A, prima a Lecce e poi in viola con la Fiorentina, è tornato nella patria dei genitori prima di approdare in Spagna, nelle giovanili del Barcellona. Aggregato con la nazionale spagnola fin dalla categoria Under 16, per una particolare coincidenza disputò la sua prima partita con la nazionale maggiore delle furie rosse proprio in Puglia, regione natìa, al San Nicola di Bari, in un’amichevole contro l’Italia vinta dagli Azzurri per 2-1. A chiudere il cerchio, la sua ultima apparizione con la maglia della Spagna è ancora una volta contro l’Italia, nella semifinale degli Europei del 2021, disputata a Londra e vinta dalla nazionale di Mancini ai calci di rigore.
Il mondiale in Qatar si distingue in assoluto tra tutte le ventidue edizioni dei mondiali per essere quella con la più alta percentuale di “calciatori migranti”. Sono ben 137 i giocatori ad indossare una maglia diversa rispetto alla nazione in cui sono nati: vale a dire il 16,5% dei calciatori totali, un inedito assoluto!
La nazionale italiana, assente per la seconda volta di fila per non aver superato le fasi qualificatorie, può però assistere e sostenere ben tre giocatori che sono nati sul suo suolo, avendo scelto però di rappresentare a livello calcistico un’altra squadra.
E’ il caso di Marcus Thuram, figlio di Lillian, nato a Parma mentre il padre disputava la sua seconda stagione nella squadra emiliana. Il rapporto tra Marcus e l’Italia non è mai sbocciato, per ora, nemmeno a livello di club. Formatosi in Ligue 1 e affermatosi in Bundesliga, con la nazionale francese ha già collezionato dieci presenze tra cui la finale del mondiale qatariota.
Prestazione notevole al mondiale in Qatar è senza dubbio quella della nazionale del Marocco: giunta in semifinale dopo essersi sbarazzata di Spagna e Portogallo, la nazionale maghrebina ha messo in seria difficoltà anche i campioni in carica della Francia senza però riuscire ad approdare in finale. Un’impresa storica, in ogni caso, che ha portato i “Leoni dell’Atlante” ad essere la prima nazionale non europea o americana ad approdare alle semifinali della Coppa del Mondo. La nazionale guidata dal coach Walid Regragui, nato in Francia nei pressi di Parigi, convoca 26 giocatori di cui meno della metà erano nati in Marocco: ben 14, infatti, erano nati al di fuori dei confini nazionali. Canada, Belgio, Francia, Spagna, Olanda, ma anche Italia sono i luoghi di nascita dei calciatori che hanno fatto la storia della nazionale del Marocco. In Italia, a Loreto, nasce nel 1998 Walid Cheddira, da una famiglia originaria della regione centrale del Marocco, paese nel quale però, Walid non ha mai vissuto. In Italia inizia a giocare in Eccellenza, con la locale realtà di Loreto, e lentamente si impone nelle categorie fino a raggiungere il Bari, in serie B, piazzandosi al terzo posto della classifica marcatori della stagione 2022/23 portando il Bari a vivere il sogno della promozione in Serie A fino alla finale dei playoff della serie cadetta.
Nato, cresciuto e formatosi in Italia, Walid decide però di vestire la maglia della nazionale del Marocco con cui esordisce pochi mesi prima del mondiale qatariota, nel quale disputerà le partite vinte proprio contro Spagna e Portogallo. «Lui è nato in Italia, ma sia io che sua madre siamo marocchini» racconta Aziz Cheddira, padre di Walid che in Marocco ha giocato a calcio nelle serie minori «ha frequentato la scuola fino all’università, ma non ha mai dimenticato le tradizioni del suo Paese. Prova per il Marocco un amore semplice ma caloroso. Lo stesso che prova per l’Italia, che è il paese in cui è nato».
L’ultimo “polpaccio in fuga” è nato a Tivoli, in provincia di Roma, squadra nella quale è cresciuto e gioca: Nicola Zalewski. I coniugi Zalewski, Krzysztof ed Ewa, lasciano la loro città natale Lomza, oltre 100 km a nord di Varsavia, nel 1988 quando il padre decide di rifiutare la chiamata alle armi raggiungendo l’Italia. Qui, inizia a lavorare come lavavetri ai semafori e in poco tempo riesce a stabilirsi nei dintorni di Roma. Nicola nasce proprio sui monti Prenestini, dove vive con la sua famiglia e dove inizia a frequentare il centro sportivo locale. Grazie all’intuito di Bruno Conti viene fatto crescere nel vivaio della Roma ma già a 15 anni decide di aggregarsi al ritiro della nazionale Under 16 polacca, lanciando un forte segnale identitario a discapito di una possibile convocazione italiana. Nonostante la doppia cittadinanza, l’esordio con la nazionale maggiore polacca arriva a 19 anni nelle qualificazioni ai mondiali del 2022 a San Marino proprio davanti agli occhi di tutta la sua famiglia. A chi gli fa notare che avrebbe potuto scegliere anche la maglia Azzurra, lui risponde con accento romano che “C’è stata la possibilità, ma per rispetto della nazionale polacca e della mia famiglia ho sempre deciso così, perché mi sento polacco al 100%“. La sorella, Jessica, di dieci anni più grande, nel ricordare il padre defunto poco dopo l’esordio in nazionale di Nicola, confida il ruolo che il padre ha avuto nel processo di costruzione identitaria della propria famiglia, e della scelta di Nicola: “Papà non lo ha mai costretto, era legato all’Italia, ha passato più della metà della sua vita qui, ma il suo sangue era polacco, voi siete polacchi, diceva a noi figli”.
L’Italia si conferma un paese di cervelli e polpacci in fuga, ma anche porto franco per numerosissimi flussi migratori che approdano verso lo Stivale. Sarà in grado la società italiana di accogliere e valorizzare le nuove generazioni di italiani che nascono nel nostro paese? Saprà lo sport offrire la possibilità di rappresentare l’Italia a quei giovani che qui sono nati e che ancora molto spesso sono esclusi dai circuiti sportivi nazionali? E’ questa, nei prossimi anni, la partita più importante da vincere.
Gian Marco Duina
14/06/2023