Alcune riflessioni a margine della scomparsa di Amos Oz

“C’era come la sensazione che mentre gli uomini vanno e vengono, nascono e muoiono, i libri invece godono di eternità. Quand’ero piccolo, da grande volevo diventare un libro. Non uno scrittore, un libro: perché le persone le si può uccidere come formiche. Anche uno scrittore, non è difficile ucciderlo. Mentre un libro, quand’anche lo si distrugga con metodo, è probabile che un esemplare comunque si salvi e preservi la sua vita di scaffale, una vita eterna, muta, su un ripiano dimenticato in qualche sperduta biblioteca a Reykjavik, Valladolid, Vancouver. “

Una storia di amore e di tenebra  (2002) – Pubblicato in Italia da Feltrinelli nel 2003

Il 28 Dicembre del 2018 è venuto a mancare lo scrittore israeliano Amos Oz. Nato il 4 Maggio 1939 a Tel Aviv, il padre di Oz si chiamava Klausner, indicando quindi le origini della famiglia nel ramo Aschenazita dell’ebraismo.

Ecco come lo scrittore descrive la sua infanzia a Tel Aviv: “Sono nato e cresciuto in un minuscolo appartamento al piano terra, forse trenta metri quadri sotto un soffitto basso: i miei genitori dormivano su un divano letto che la sera, quando s’apriva, occupava quasi tutta la stanza, da una parete all’altra. La mattina presto ripiegavano il divano comprimendolo per bene, nascondevano lenzuola e coperte nel buio del cassetto che stava lì sotto, rivoltavano il materasso, chiudevano, sistemavano, stendevano su tutto un rivestimento grigio chiaro e infine disponevano qualche cuscino ricamato in stile orientale, occultando con ciò ogni traccia del loro sonno notturno. E così, la stanza fungeva da camera da letto, studio, biblioteca, tinello e perfino salotto.”

Il nonno materno di Oz aveva un mulino  a Rovno, città prima in Polonia e adesso in Ucraina. Molti componenti della famiglia paterna erano sostenitori del partito revisionista sionista, un movimento sionista, nazionalista e anticomunista. Nel 1948 questo movimento confluirà poi nel partito Herut, dal quale poi nascerà nel 1973 il Likud. Quando lui ha 12 anni, la madre, Fania Mussman si suicida, cosa che avrà una grende influenza sulle tematiche dello scrittore. A 15 anni abbandona la casa paterna, si iscrive al Partito Laburista Israeliano e va a vivere in un Kibbuz. E’ in questo periodo che decide di cambiare il suo nome in “Oz” che in ebraico vuol dire “forza”.

Oltre che grande scrittore e saggista, Oz è stato anche molto impegnato nel dibattito culturale e politico del suo paese. Nel 1978 è fra i fondatori del movimento “Peace Now”, che ha sempre spinto per una trattativa di pace con i palestinesi. In particolare Oz è sempre stato a favore della soluzione dei due stati e del riconoscimento dello status internazionale di Gerusalemme. Insieme ad altri due scrittori israeliani (David Grossman e Abraham Yehoshua), ha sempre manifestato le sue posizioni critiche nei confronti di alcune delle politiche di Israele.  Quindi, non solo un grande scrittore e saggista, ma anche un intellettuale impegnato nel dibattito culturale del proprio paese. Una figura quindi di vecchio stampo,  di pensatore a 360 gradi, che non si ritira nel proprio universo di libri e di teorie, ma partecipa attivamente alla vita culturale, anche con una lucida e preveggente capacità di analisi dei fenomeni sociali. Ovviamente non tutte le posizioni di Oz erano condivisibili, ma almeno aveva il coraggio delle proprie idee. E in questi anni mancano intellettuali coraggiosi che si gettino nello scontro di idee, assumendosi responsabilità.

“(Traduzione non ufficiale dall’ebraico) Il nostro problema più grande è la scomparsa della solidarietà sociale. Qui si sta sviluppando un grande egoismo che non ha vergogna nemmeno di se stesso. Vent’anni fa una ragazza di Bet Shean disse in televisione “Ho fame”, e vibrarono gli stipiti delle porte (Isaiah 6:4). Sì, in parte era solo per dire, ma almeno si diceva. Oggi invece, perfino se quella ragazza morisse di fame in diretta televisiva, non succederebbe niente, a parte i dati d’ascolto e pubblicitari che userebbero l’incidente per i loro scopi. Chi un tempo pensava ingenuamente che la locomotiva degli imprenditori e i ricchi avrebbero trascinato con sé un lungo treno in cui anche gli ultimi vagoni sarebbero andati avanti, si sbagliava. Non è successo. Le locomotive si muovono e gli ultimi vagoni restano indietro sui binari arrugginiti. (6 settembre 2002).”

Pensando in questi giorni alla sua scomparsa, mi è tornata in mente la metafora dell’ebreo errante. Si tratta di una antica leggenda, nata probabilmente nel basso medioevo, in funzione antisemita, la quale racconta che durante la Passione, un ebreo il cui nome è sconosciuto, si avvicina a Gesù e lo dileggia. A causa di ciò verrà maledetto e obbligato a vagare per sempre sulla terra,fino alla fine dei tempi. Per molti è una metafora dell’eterno vagare del popolo ebraico, rimasto senza terra dopo la distruzione del Tempio del 70 d.C. Per me invece è sempre stata una metafora di un modello di intellettuale che non si trova mai bene dove sta, e a causa della sua lucidità e sensibilità non riuscirà mai a sentirsi a proprio agio nel proprio mondo, anche se lo ama e ne fa parte. E la sua ricerca non si ferma mai e la sua nave, come quella del batavo maledetto, non troverà mai porti dove attraccare.

Ecco, per me Amos Oz è stato questo tipo di scrittore.

 

Francesco Castracane

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