In occasione del sessantesimo anniversario della sua fondazione, Esselunga, nota catena GDO di origine milanese, realizza una mostra spettacolo per celebrare la sua storia presso The Mall a Milano. È uno spunto interessante da cui partire per fare una riflessione sul consumismo nella nostra società.

Se lo spettatore si aspettava di trovare una possibile e intelligente testimonianza dell’evoluzione dei consumi dal miracolo economico fino all’avvento del Fair Trade, sarà rimasto sicuramente deluso. La mostra si limita ad esporre beni di consumo simbolo della società degli anni ’60-’70-‘80, ma che non riguarda direttamente l’azienda in questione, le cui esposizioni fanno solo da sfondo, con fotografie e allestimenti che danno qualche informazione della storia dell’azienda e del suo fondatore. Lo spettatore è quindi distratto dai beni di consumo che lo abbagliano con i loro colori e forme invitanti, creando così un’atmosfera di illusione e distorsione del mondo reale. Quello che balza all’occhio è sicuramente il continuo e ripetuto bombardamento visivo di immagini sovrapposte a gran velocità all’entrata della mostra e nella sala rivestita interamente di specchi, creata apposta per riflettere ulteriormente i fotogrammi e creare disorientamento: un vero e proprio elogio al consumismo sfrenato da lavaggio del cervello, il tutto accompagnato da una buona dose di musica assillante. Anche la scelta della locandina della mostra (un volto con in testa un carrello della spesa, come a rappresentare l’assoggettamento delle menti al mercato, di cui esistono molte rappresentazioni critiche significative) non dà un’immagine molto rassicurante. Gli anni più recenti, comunque, non vengono presi molto in considerazione, quando invece dovrebbe essere dato spazio alla nuova politica intrapresa da Esselunga nello scegliere di commercializzare prodotti biologici e del commercio equo e solidale, di certo una realtà molto attuale che ha cambiato la classica linea dei consumi.

Dalla mostra non si evince quindi una vera linea di evoluzione del consumismo. Più in generale si può affermare che a partire dagli anni ’50-’60, in pieno boom economico (caratterizzato da beni rivoluzionari per l’epoca, come la lavatrice, il frigorifero, l’automobile, ecc.), passando per gli anni ’80-’90 (in cui i bambini e i ragazzini erano felicemente serviti da ogni bene di loro interesse: merendine, giochi, vestiti, ecc.) e arrivando ai giorni nostri, il mercato abbia sempre e solo assecondato i capricci delle persone, nessuno escluso. Cambiano i comportamenti e le coscienze delle persone, quindi i prodotti di loro interesse, come potrebbe essere, ad esempio, l’attuale sensibilità verso il Fair Trade (professato già negli anni sessanta, ma più condiviso recentemente). Tuttavia il mercato cerca di sfruttare a suo favore il cambiamento, a volte anche positivo, e il consumismo rimane sempre lo stesso alla base: sfrenato, impaziente, egoista. Spendere, spendere e spendere, perché si pensa di aver bisogno di tutto! Una visione che viene assecondata dalle multinazionali, spesso corrotte e poco trasparenti, e appoggiata poi dalle catene di distribuzione di massa, le quali nonostante redigano un codice etico, più volte rivelano numerose contraddizioni, messe in luce dai consumatori più attenti, soprattutto in merito alle scelte che hanno delle ripercussioni a livello ecologico e sociale. Ma non si fa dell’erba un fascio: è un discorso applicabile a qualsiasi realtà. E non bisogna solo vedere il lato negativo, vengono effettuate anche scelte eticamente corrette.

Infatti, l’interesse crescente per la sostenibilità ambientale e la giustizia sociale ha fatto sì che alcune aziende adottassero una politica che si indirizzasse verso la promozione del biologico e del commercio equo e solidale, già portato avanti dalle Botteghe specializzate in tale settore. Ne sono un esempio la già citata Esselunga e anche la Coop, che per tal ragione si sono trovate spesso in competizione. Anche Carrefour, marchio francese, si era spostata su questa linea di pensiero, ma lo slogan adottato “consumare meglio è urgente”, ha portato a una campagna di boicottaggio nei suoi confronti, proprio perché dava l’impressione che inneggiasse al consumismo sfrenato.

Scegliere il biologico significa optare per prodotti che non fanno uso di pesticidi, diserbanti o prodotti chimici, quindi prodotti che rispettano la terra, non ammettono gli OGM e favoriscono la biodiversità. Il commercio equo e solidale, invece, è un’alternativa significativa al classico sistema commerciale, perché s’impegna a rispettare l’ambiente, quindi è contro ogni forma di sfruttamento intensivo della terra e delle risorse naturali, con relative conseguenze sugli ecosistemi e le popolazioni risedenti sul posto, soprattutto indigene (si tratta perlopiù di zone del Sud del mondo); a tutelare i diritti dell’uomo, quindi è contro ogni forma di schiavitù lavorativa e abusi di ogni tipo, sia che riguardi i minori, sia che riguardi gli adulti, ai quali garantisce uno stipendio giusto, migliorandone così le condizioni di vita e favorendone l’autosviluppo, nel caso di produttori, contadini e artigiani; e infine a stimolare e sensibilizzare le istituzioni nazionali e internazionali al fine di compiere scelte politiche ed economiche più etiche.

Il consumo sfrenato incitato dalla pubblicità seduttrice con cui veniamo bombardati fin dalla nascita, attraverso la televisione, internet e altri mezzi di comunicazione, ci porta a vedere la situazione solo da un unico punto di vista: volere per forza determinate cose perché si pensa di averne bisogno. Ecco che si parla di consumi necessari e di consumi indotti, questi ultimi le cause principali delle problematiche a livello ambientale e umanitario. È quindi importante riflettere sull’impatto delle nostre azioni, anche se è difficile adottare comportamenti al 100% coerenti con la propria linea di pensiero: la soluzione migliore sarebbe coltivare il proprio orto, cucirsi i propri vestiti, ecc., per essere sicuri di rispettare tutto e tutti, ma con l’economia attuale è quasi impossibile realizzarlo. Non si può sapere veramente di chi fidarsi, perciò non ci si deve sentire in colpa per utilizzare o aver utilizzato prodotti poco etici: la colpa è della società in cui viviamo, che pensa solo al profitto, a scapito dell’umiltà. Quindi, dove si riesce, è doveroso adottare un consumo critico (scelte dettate dalla propria coscienza, in qualsiasi ambito: alimentare, abbigliamento e altro, ovunque ci siano irregolarità nel rispetto dell’ambiente, dei diritti umani, ecc.) e, nei casi in cui sia fondamentale, procedere con il boicottaggio (interruzione dell’acquisto di beni, al fine di forzare le società produttrici ad abbandonare i loro comportamenti scorretti), già in atto per multinazionali come Coca-Cola, McDonald’s, Nestlé e Nike, annoverate tra le aziende più boicottate degli ultimi tempi. Solo così facendo si può incidere sulla domanda e sull’offerta, creando un’economia di giustizia, i cui fattori determinanti siamo noi consumatori da una parte e le grandi aziende, i supermercati e i negozi dall’altra.

Per approfondire il tema dei consumi e accedere a una lista completa di multinazionali poco etiche consultare la “Miniguida al consumo critico e al boicottaggio” realizzata dal Movimento Gocce di Giustizia: www.goccedigiustizia.it

Invece, per essere sempre informati sul commercio equo e solidale, consultare Assobotteghe,Fairtrade ItaliaEquoGarantito e Centro Nuovo Modello di Sviluppo

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