L’8 marzo di ogni anno si festeggia la Giornata Internazionale della Donna, momento opportuno per riflettere sul tema dei diritti delle donne, nonché lottare contro ogni forma di discriminazione e violenza nei loro confronti. Tuttavia ultimamente si è un po’ perso il senso di tale celebrazione: sembra solo una semplice scusa per stare tra amiche, lasciando a casa mariti o compagni “pesanti” (se ci sono) e dandosi alla pazza gioia. Se si è arrivato a istituire tale festa è stato grazie al contributo di numerose donne che hanno sempre cercato di prendere posizione e difendere i propri diritti. Il primo 8 marzo della storia risale al 1917, quando le donne di San Pietroburgo scesero in piazza, ma  per protestare contro la guerra. Nei decenni a seguire molte attiviste femministe di tutto il mondo scelsero tale giorno per organizzare manifestazioni e proteste, facendo sì che l’8 marzo diventasse la data ufficiale di rappresentanza delle donne. In Italia il movimento femminista prese piede durante gli anni Settanta e scelse proprio l’8 marzo (era il 1972) per manifestare in Piazza Campo de’ Fiori a Roma in favore dei propri diritti e chiedere l’approvazione della legge sull’aborto: erano le donne della seconda ondata femminista.

Per “seconda ondata femminista” s’intende quel periodo di attivismo sviluppatosi tra gli anni ’60-’80, dapprima negli Stati Uniti d’America e poi in altri Paesi del mondo, che si concentra sulle problematiche culturali ancora alla base della società di allora, andando ad abbracciare nuove tematiche, quali sessualità e corpo femminile; violenza domestica e stupro; contraccezione e aborto; e infine divorzio. Con il Sessantotto il movimento femminista (così come accade per quello afroamericano e quello omosessuale) raggiunge l’apice del suo impatto sociale, ma deve comunque molto alla prima ondata femminista (XIX-XX secolo), che si occupa principalmente del suffragio femminile (da qui il termine “suffragette”), ma anche sul diritto all’istruzione e al lavoro, rispettivamente per le bambine e le donne. Non bisogna comunque trascurare tutte quelle ideologie che si sono sviluppate nel corso della storia, dando il loro apporto significativo in materia, a dimostrazione del fatto che le donne hanno sempre cercato di far sentire la propria voce.

La fase del boom economico degli anni ’50 aveva portato a fossilizzare il classico ruolo di donna in qualità di moglie e casalinga, dedita alle faccende domestiche e all’accudimento dei figli, soprattutto a causa dei media (strumentalizzati dalla politica e dalla religione), che esaltavano il matrimonio e la famiglia tradizionale, in cui la donna rivestiva solo un ruolo passivo. Questo portava le donne ad essere ancora vittime di discriminazione e sessualizzazione da parte degli uomini, in particolar modo nell’ambito lavorativo. Nascono così i primi gruppi femministi: collettivi di sole donne che discutono di tali questioni e pongono l’attenzione sulla sessualità, quindi il rapporto con il proprio corpo, il sesso maschile e le violenze domestiche, spesso taciute e (volutamente) ignorate dalla società, rompendo di conseguenza ogni tabù e abbattendo (in parte) ogni forma di moralismo e pregiudizio. Se una donna ha rapporti sessuali con più uomini viene automaticamente bollata con i termini più volgari. Se un uomo ha rapporti sessuali con più donne viene visto come un “mito del sesso”. Perché una donna non può vivere la propria sessualità come farebbe un uomo? Si mettono così in discussione alcune teorie “scientifiche”, come quella freudiana riguardante i concetti maschilisti di “invidia del pene” e “orgasmo vaginale”, quest’ultimo legato alla falsa teoria dell’“isteria femminile”, e si abbracciano nuove prospettive, come quella della scrittrice francese Simone De Beauvoir. In Il secondo sesso (1949), saggio che influenzò i movimenti femministi degli anni a seguire, De Beauvoir afferma che «donna non si nasce: lo si diventa», in quanto le donne vengono spinte ad accettare il ruolo imposto loro dalla società, società che le considera inferiori e vuole rafforzare il sistema patriarcale. La scrittrice pone inoltre l’attenzione sulla differenza tra sesso biologico, legato puramente all’organo genitale, e genere sessuale, ossia le forze sociali che fanno di un individuo un “uomo” o una “donna”, concetti che verranno ripresi più avanti dai Queer Studies. De Beauvoir esorta infine le donne a parlare della propria condizione sociale, economica, ecc. Atteggiamento adottato anche dalla scrittrice americana Betty Friedan, che nel saggio-inchiesta La Mistica della Femminilità (1963) raccoglie una serie di interviste fatte a donne, in cui emerge il loro disagio all’interno della società e il loro volersi emancipare, soprattutto a livello economico, nonostante vi fossero comunque donne che accettassero la loro condizione, in quanto vista come l’unica possibile. Quindi non si tratta di un movimento unitario, quello femminista, ma di più movimenti ognuno con proprie peculiarità, che nel contesto degli anni Sessanta, fatto di voglia di cambiamento, trovano spazio e si soffermano su questioni da sempre ignorate, per colpa di una società maschilista e bigotta. Anche l’Italia ha partecipato attivamente a questo cambiamento. Tra le conquiste più significative vi sono l’istituzione del divorzio (1974), la riforma del diritto di famiglia (1975), la legalizzazione dell’aborto (1981), oltre che la nascita di centri per donne vittime di violenza psico-fisica e stupro.

A cavallo degli anni ’80-’90 il movimento femminista entra in crisi. Nonostante gli apporti significativi in merito al tema della sessualità, si sviluppa una terza ondata femminista, nata proprio in risposta a quelli che erano visti come i fallimenti della seconda fase e soprattutto come critica al fatto di aver dato più importanza a donne di razza bianca, del ceto medio e di una società capitalista, quindi dell’Occidente (in particolare Stati Uniti d’America). Viene dato così spazio anche a donne di altre etnie, donne che vivono in Paesi in via di sviluppo, donne che soffrono di disabilità mentale e/o fisica, ma soprattutto si ampliano meglio i concetti di genere e orientamento sessuale, grazie alla visione post-strutturalista, che vede emergere figure come Judith Butler. Ma Butler non è l’unica ad aver portato spunti interessanti, si possono citare anche  Christine Delphy («il matrimonio è un contratto di lavoro»), Ann Oakley («il lavoro domestico è opposto all’autorealizzazione») e Sylvia Walby (sul concetto di «patriarcato»). Questo perché il femminismo è in continua evoluzione: nascono sempre nuove teorie o si perfezionano quelle precedenti, non basterebbe un articolo per mettere in luce l’intera evoluzione del pensiero femminista e dar spazio alle singole personalità, perché la sociologia è una disciplina molto ricca e complessa.

L’8 marzo, perciò, non deve passare per una semplice festa commerciale: è giusto divertirsi e lasciarsi andare, ma questo lo si può fare anche in tutti gli altri giorni dell’anno, nessuno lo vieta (si spera), non si deve aspettare per forza tale data, come se fosse l’unico momento in cui si ha il permesso per farlo. L’8 marzo deve invece essere un’occasione per dare giustizia ai movimenti femministi e alle singole figure che hanno contribuito a un cambiamento significativo per il ruolo della donna all’interno della società, nonché aprire gli occhi a situazioni ancora troppo spesso ignorate, come violenza psico-fisica, stupro, sfruttamento della prostituzione, matrimoni combinati, spose bambine, infibulazione  e tanto altro. Ben vengano allora iniziative culturali che sensibilizzano le persone a tali questioni. A tal proposito si segnala Spunti di vista, evento dall’8 al 11 marzo presso la Fabbrica del Vapore: quattro giornate dedicate all’arte, al teatro e soprattutto alla mostra COM’ERI VESTITA?, esposizione di vestiti simili a quelli indossati da alcune donne nel momento in cui sono state vittima di violenza sessuale. Il titolo è un’accusa rivolta a coloro che pongono sempre tale domanda alle vittime di stupro, colpevolizzandole in quanto vestite in modo troppo provocante. Ne siamo davvero sicuri? L’invito è di dare un’occhiata alla mostra per rendersene veramente conto. Per maggiori informazioni, clicca qui.

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