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Nelle ultime settimane nel mio paese di nascita ci sono stati episodi di manifestazione molto forti: questo è stato un “despertar” di idee e saperi, di un “sentire” con cui sono cresciuta e che mi hanno accompagnata fin dalla mia partenza per l’Europa dove, per un po’, mi sono persa nel cercare di esistere

Rispetto al mio percorso non potrei parlare solo delle mie origini, perché ormai questo albero che ha delle radici profonde, è cresciuto e si è contaminato con tutto quello che ha trovato nella terra che mi ha accolta e che oggi posso chiamare casa: l’Italia. 

Così, questo “despertar” del sentire, mi ha portata ancora una volta al mio essere donna, facendomi tornare in mente tutte le donne che ho incontrato nella mia vita. Donne che mi hanno insegnato a tessere la rete della vita, che mi ha portata a condividere questi “sentire”.  

Mi sono avvicinata sempre di più al “femminismo del sentire” un termine che non esiste, ma che voglio coniare oggi perché rispecchia ciò che voglio raccontare. Un nome che utilizzo per mettere insieme il femminismo comunitario e il mio percorso. Voglio parlare di qualcosa di “nuovo”, scrivere e mettere sul foglio questo pensiero (questi sentire).   

Come donna ho sempre difeso la terra, la natura e la sua diversità. Seguo i miei rituali di ringraziamento alla terra (come il “pago” alla terra) per tutto ciò che ci dona ogni giorno , così come il mio paese mi ha insegnato sin da bambina.

Noi donne, come la Madre Terra in questi ultimi secoli, siamo state “cosificate”: noi, le più svantaggiate di quel pensiero binario egemonico dove si è portati a credere che noi donne, così come la terra, dobbiamo sempre produrre e “dare” perché qualcosa di naturale. Noi, che non possiamo decidere sul nostro corpo/territorio.  

Il mio primo approccio al femminismo “diverso” sicuramente è stato con le donne kurde del Rojava, dove – per caso o perché forse era già tutto scritto – ho ritrovato tutti quei pensieri che erano già nel mio bagaglio culturale, ma che forse non ricordavo di possedere. Così ho scavato per poter riconoscere questi pensieri, che ci parlano sempre al plurale. Per un certo periodo ho cercato di rendere più accademica la cosmogonia andina, ho approfondito e mi sono confrontata con scienziati e accademici, ma non sapevo come tenere insieme tutti questi saperi e il sentire.  

Sono cresciuta circondata da donne che venivano a Lima in cerca di un futuro migliore, oggi vivo anche io la stessa condizione qui in Italia. Oggi mi ritrovo in loro. Quando chiedevo a mia madre perché mai dovessimo ospitare tutte quelle donne, lei mi rispondeva: “perché è tutto in prestito, perché è tutto circolare”. Questa visione di circolarità mi ha accompagnata nel mio percorso di vita. Mia madre ha imparato bene a non accumulare, ma a DARE, perché così avremmo avuto di più, perché anche lei aveva quella memoria collettiva che ci riporta ad un pensiero di (una parola così vicina a noi) “reciprocità“.  

Nella cosmo-visione andina noi donne siamo la rappresentazione fisica della madre terra, siamo figlie della Pacha-Mama cioè del tempo, dello spazio. Il significato di Pacha-Mama è stato molto spesso associato a quello di “Madre terra”, ma in verità ha un significato molto più profondo: Pacha é una parola quechua che significa spazio, universo, tempo. Come femminista non potevo esimermi dal parlare e denunciare tutte le violenze fatte alla terra senza parlare del dominio patriarcale.

Come si può essere femminista senza tener conto che questo pensiero patriarcale è stato il pilastro di tutte le manifestazioni di violenza avvenute come la colonizzazione, il razzismo, il machismo, e molte altre?  

Il dominio patriarcale ci ha disarmonizzato.  

Oggi, guardo il mio paese e vedo come gli uomini e le donne non comprendono la lotta di genere perché ancora oggi sono perseguiti, non soltanto perché difendono i loro laghi e le loro montagne, ma soprattutto perché hanno un pensiero diverso: la visione stessa di sviluppo è molto differente, ma soprattutto ancora prima di diritto umano si parla di sumaq kausay del buon viveres, vivere bene con tutte le manifestazioni di vita che ci circonda. 

Sono uomini, donne e bambini/e che lottano per resistere e per esistere in quanto esseri umani ed è per questo che quando si parla di lotta di genere molto spesso non capiscono come dall’altra parte si parli di “genere” quando nella nostra cosmovisione andina si parla di pluralità del nostro corpo.

Noi non difendiamo solo le nostre terre e l’acqua, ma difendiamo un pensiero più grande, che è quello di poter vivere diversamente, in un mondo armonico con la terra e con il cosmo e con tutte le forme di vita che ci circondano. 

Vogliamo veramente un cambiamento? 

Siamo figli della Pacha: spazio e tempo. Certo abbiamo naturalizzato e interiorizzato tante manifestazioni di violenza come il razzismo, quel complesso di superiorità che ancora oggi ci fa sentire giustificati a parlare a nome di altri corpi e altre realtà. Realtà che molto spesso non conosciamo fino a fondo. Ma oggi che battaglia vogliamo combattere? 

Io vorrei la lotta per l’affermazione della vita, a partire dal tessere con il cosmo per non DIMENTICARE quello che siamo.

Lotte che abbiano in conto il sentire, la nostra spiritualità e il nostro essere cosmici, che facciamo parte di un cosmo. Forse, in questo modo, il nostro sguardo sarebbe diverso e, magari, tutti quei pensieri che diamo come scontati non ci sembreranno più l’unica realtà, ma parte di una realtà più grande.   

Vorrei umilmente fare anche un invito a consolidare una cooperazione (mancata) tra donne “migranti” e donne autoctone. Ho osservato con piacere la voglia di un transnazionalismo per cui parliamo con donne dall’altra parte del mondo per consolidare lotte, ma ancora oggi non diamo la sufficiente volontà di dare parola anche a donne che vivono già sul nostro territorio, donne che nella grande maggioranza fanno lavori manuali o di cura dei vostri cari. 

Un altro invito che faccio è quello di cominciare a decolonizzare: decolonizzarci rispetto a quel pensiero binario per dare dignità alla nostra storia come umanità: ci hanno fatto credere che il mondo va cosi e deve andare così, ma siamo così limitati noi esseri cosmici? 

 ” Poiché le guerre hanno origine nello spirito degli uomini, è nello spirito degli uomini che si devono costruire le fondamenta della pace“.

Carta costitutiva dell’UNESCO  

Per concludere, vorrei rivolgere un invito a cominciare a sanarci insieme e sanare gli altri per poter uscire da quel pensiero egemonico che è stato predominante per tanti anni: torniamo ai saperi dei nostri “abuelos”, cominciamo a tessere per la rete della vita, perché la nostra lotta non è una lotta soltanto di “genere o classe” o delle diversità, ma è una lotta che deve affermare l’amore per l’umanità e per tutto quello che ci circonda. Noi donne possiamo insegnare una sorellanza più sana di quella fratellanza che ci hanno insegnato, noi donne, come donne e come corpi che conoscono tutti i tipi di violenze sul nostro essere, possiamo trasformare tutto questo in saperi di armonizzazione e di un cambio che sia radicale perché va alla radice dei problemi: patriarcato, colonizzazione , antropocentrismo, eurocentrismo.

Veronica Silva

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One thought on “Femminismo del sentire e camminare”

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