Il nuovo anno non è stato inaugurato nel migliore dei modi per l’ambiente marino. Il 14 gennaio 2018 la petroliera iraniana Sanchi è affondata a largo delle coste cinesi permettendo la fuoriuscita di oltre 1 milione di barili di condensato, un tipo di petrolio raffinato ultraleggero.
Le operazioni di contenimento della marea nera si sono dimostrate complesse a causa dell’incendio che dalla petroliera si è diffuso sulla superficie di mare contaminata da petrolio e da gas tossici. Le autorità cinesi continuano a minimizzare i danni, tenendo nascosta la reale entità del problema ambientale mondiale; difatti la marea nera e tossica che è fuoriuscita dalla petroliera si è ormai estesa per più di 100 km quadrati divenendo un problema di salute pubblica internazionale. La chiusura cinese è un grande problema perché impedisce una corretta e coordinata gestione di una crisi non solo ambientale, ma che affetta anche la salute della popolazione costiera, le economie locali ed impedisce agli operatori di contenere il petrolio che danneggerà inevitabilmente anche la costa e il sottosuolo, oltre che tutto l’ambiente marino. Sembra una storia già sentita più volte, alla quale ci si abitua, solitamente perché sono tragedie lontane da luoghi conosciuti, che impattano popolazioni semi sconosciute. Eppure una delle tragedie ambientali più catastrofiche degli ultimi 20 anni è accaduta al largo delle coste statunitensi, poco sotto la Louisiana, nel Golfo del Messico. Il disastro ambientale della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, affiliata alla British Petroleum, parve un segno del destino in quel lontano aprile 2010: era necessario abbandonare le fonti energetiche fossili, altamente inquinanti e pericolose per l’ambiente in cui anche l’uomo vive. Nel luglio di quello stesso anno presso la piattaforma petrolifera si registrò uno sversamento compreso fra i 35.000 e 60.000 barili di petrolio ogni giorno e questo, finalmente, destò l’attenzione della popolazione mondiale.
Il presidente Obama dichiarò che il disastro causato dallo sversamento in mare della poltiglia nera era la più grande catastrofe ambientale in tutta la storia degli Stati Uniti d’America: era arrivato il momento di parlare dell’abbandono dei combustibili fossili in favore di fonti di energia rinnovabili. Purtroppo i passi furono lenti e poco coordinati e, in breve tempo, il movimento green che aveva guadagnato consensi presso quasi tutti i settori della vita civile iniziò ad essere meno accattivante e sommariamente meno importante dei problemi socio-economici che le principali potenze mondiali si trovavano ad affrontare. Nell’ultimo anno le dinamiche geopolitiche del mondo sembrano aver oscurato il ricordo dei disastri ambientali dovuti all’estrazione, al trasporto e alla trasformazione dei combustibili fossili. Il vento del rinnovamento culturale in materia di energia è cambiato con l’elezione del presidente Trump negli Usa che fin dall’inizio ha clamorosamente combattuto contro l’evidenze scientifiche più importanti per la nostra generazione, come il cambiamento climatico, lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento del livello dei mari, l’investimento nelle energie rinnovabili fino all’abbandono dell’accordo sul clima siglato a Parigi. La figura di Trump è simbolica in questo caso perché il presidente statunitense rappresenta una più ampia schiera di rappresentanti di interessi economici enormi e privati che non hanno mai voluto davvero investire e proporre un cambiamento energetico. Ma alcuni passi avanti sono stati fatti: ad esempio settimana scorsa in Germania è stato raggiunto un nuovo record sull’utilizzo delle fonti rinnovabili che per la prima volta sono la principale fonte di elettricità sul suolo tedesco. Ma in generale tutta l’Europa si sta muovendo positivamente nel mondo dell’energia green ed anche l’Italia procede a ritmo spedito nella produzione di energia rinnovabile con largo anticipo sul 2020 e anche le altre potenze europee impiegano sempre di più energia derivata dalle fonti rinnovabili. Ci sono dunque segnali positivi nella gestione delle risorse energetiche mondiali, ma ancora molto deve essere fatto, perché disastri come quelli che puntualmente fanno capolino nelle nostre tv non accadano di nuovo. La tutela ambientale è fondamentale in tutti i paesi perché l’ambiente è la nostra casa, la società umana non vive indipendentemente dall’ambiente in cui è immersa, ma anzi questi due piani si compenetrano e comprendere la profondità di questa dipendenza reciproca può essere il punto di partenza anche per una miglior gestione delle risorse.