Questo scritto vorrebbe aprire una riflessione sull’uomo d’oggi. Certamente un’analisi seria richiederebbe ben altro impegno, ma l’intento, molto più modesto, è solo indicare alcune linee per avviare un pensiero e una discussione.

Sandro Antoniazzi

1.L’origine ottimista della nostra società.

L’illuminismo, il pensiero che è stato all’origine della società moderna, riteneva che la ragione, sostituendo la religione (simbolo di pregiudizi, superstizioni e di credenze popolari irrazionali, insomma di una tradizione superata) avrebbe portato a una società migliore, razionale, in accordo con la scienza, e anche gli uomini sarebbero diventati padroni di sé stessi, del proprio giudizio e del proprio destino.

Certamente le verità, che erano evidenti agli intellettuali, non potevano esserlo altrettanto per le masse popolari, ma un buon governo, delle buone leggi e l’educazione avrebbero indirizzato il popolo a seguire la via della ragione, se non per convinzione, per adattamento a un comportamento comune (questa idea che potremmo chiamare “paternalistica” non è tramontata, perché il problema di governare le masse permane e si presenta anzi più complesso).

La visione illuminista della società moderna era chiaramente ottimista: avremmo avuto una società razionale tutta dedita al progresso umano e gli uomini razionali avrebbero dato il meglio di sé stessi in questo contesto.

Le cose non sono andate così, innanzitutto per un motivo fondamentale, proprio anche di tante filosofie moderne: trascurare che l’uomo è fatto di bene e di male, a volte prevale l’uno a volte prevale l’altro, ma coesistono sempre. E poi accanto a un indubbio progresso materiale, si sono succedute varie guerre (due mondiali, insieme a tante altre, di cui una oggi in Europa), le diseguaglianze aumentano nel mondo (la visione era chiaramente limitata all’Occidente), molti sono gli uomini che non si trovano nelle condizioni di essere autonomi.

Un grande colpo all’ottimismo illuminista venne anche, in particolare, dal pensiero di Freud secondo cui nella persona spesso prevale l’inconscio, fattore per nulla razionale; e poi l’esperienza umana ha evidenziato un problema più generale: l’uomo può essere razionale, ma è nello stesso tempo decisamente fragile e lo è in maniera strutturale, costitutiva (al di là delle singole condizioni di vulnerabilità: bambini, anziani, disabili, malati, ecc..).

Ma nel dopoguerra in Occidente si è verificato un periodo di sviluppo economico positivo che ha fatto dimenticare le guerre, il fascismo e tanti altri problemi e limiti (ad esempio, quelli ambientali) e ci ha indotti a credere che questo sarebbe stato per sempre il nostro futuro: un benessere illimitato è diventato così il vero scopo sia individuale che della società.

Ora però dobbiamo prendere atto che questo progresso certo e continuo è finito e che oltre a crearci dei seri problemi (aumentano i poveri e la precarietà e molti vedono peggiorare la propria condizione), soprattutto non rappresenta più la prospettiva in cui riporre la fiducia per il futuro.

Dunque, è necessario cambiare rotta sia per la società che per le persone: in questo sta il problema principale delle nostre difficoltà attuali.

Occorre pensare a un diverso orizzonte collettivo, sia da parte di coloro che hanno creduto al benessere sia da parte di coloro che hanno creduto all’ utopia di una futura società socialista: un orizzonte fatto da uno sviluppo più modesto, attento agli sprechi, alle questioni ambientali e ai problemi di giustizia, ma anche caratterizzato da una forte impronta solidaristica, che può venire solo da una comune volontà collettiva; un orizzonte in cui tutti, o la maggior parte, possano ritrovarsi.

Un orizzonte comune, per quanto più modesto dei grandi ideali di un tempo, rappresenta in ogni caso un valore essenziale perché la società abbia un senso condiviso.

2.I molti problemi della società attuale

Iniziamo dalla società: i problemi che ci stanno di fronte sono oggi problemi enormi, mondiali, economici, tecnologici, di pensiero, spesso al di là della nostra portata individuale.

Pensiamo alle due grandi realtà che dominano lo scenario attuale: da una parte il libero scambio e la globalizzazione e dall’altro le tecnologie informatiche e l’intelligenza artificiale, cui, recentemente, si è aggiunto il tema delle guerre.

In economia esiste un divario enorme tra l’Occidente e molti popoli del Sud, creando attriti permanenti che si traducono in guerre, anticolonialismo, rivendicazioni, migrazioni.

Lo sviluppo occidentale non è trasferibile a livello mondiale: bisognerebbe che i paesi più ricchi facessero delle rinunce per consentire uno sviluppo più equilibrato (per cominciare basterebbe che le multinazionali pagassero giusti salari nei paesi del Terzo Mondo, aumentando i prezzi dei loro prodotti in Occidente).

Con la globalizzazione è poi aumentata la precarietà; c’è tanta gente che lavora, ma che guadagna troppo poco. C’è bisogno di nuove regole, non provvisorie, non misure tampone, ma con una visione di lungo periodo.

L’altro tema che è contemporaneamente fonte di speranza e di preoccupazione è quello della tecno-scienza; speranza perché apre a molteplici possibilità, paura perché si tratta di processi complessi, di difficile controllo.

La rete comunicativa informatica ha assunto un tale peso nella vita della società e delle persone da dar vita a un vero e proprio ambiente invasivo che viene chiamato infosfera: nessuna azienda o servizio sarebbe oggi capace di funzionare senza questa rete, ma anche la nostra vita quotidiana ha ormai necessità di dispositivi informatici (basti pensare allo smartphone o al computer).

E’ un sistema, una rete, che cresce in continuazione, anche grazie all’intelligenza artificiale.

Ma sono molte le persone che non hanno i mezzi e la formazione per accedere adeguatamente a questa rete e sono così escluse a un accesso, che si presenta sempre più necessario. Il rischio che si paventa è che una larga fascia di popolazione rimanga in una situazione di inferiorità (digital divide), facile preda di social e di fake news di ogni sorta.

Se poi proviamo a guardare da un punto di vista etico-valoriale i problemi più comuni della nostra società, ci appaiono tutte le insufficienze e le inadeguatezze tanto del pensiero quanto delle politiche e delle iniziative che si sviluppano in proposito.

Un primo problema è quello dell’ambiente, della natura.

Storicamente la natura non ha avuto un grande spazio nel pensiero filosofico: basta pensare a Descartes che distinguendo tra res cogitans et res extensa e mettendo la natura in quest’ultima categoria, in pratica la considerava pura materia, oggetto, di cui il soggetto (l’uomo) poteva disporre a suo piacimento.

Dobbiamo invece parlare con rispetto della natura, perché da essa dipende la nostra vita e quella dell’umanità futura, come afferma il principio di responsabilità di Hans Jonas, secondo il quale dobbiamo prendere in considerazione le conseguenze future delle scelte che facciamo.

Oggi si è finalmente iniziato a prendere coscienza e ad assumere provvedimenti di salvaguardia dell’ambiente, ma il più è ancora da fare e questo molto dipende dalla consapevolezza collettiva.

Senza fughe in avanti, evitando scontri ideologici e di bandiera, occorre pensare a programmi seri e convincenti di transizione, realizzati col contributo delle persone, in modo che possano essere largamente condivisi.

Abbiamo poi tutti una responsabilità politica, che significa una responsabilità verso il paese. Certamente il funzionamento attuale della politica e dei partiti non è uno stimolo a partecipare: senza entrare nel merito della politica che richiederebbe un discorso troppo ampio, penso che il problema primo da affrontare sia il rapporto con la base, coi cittadini.

Oggi si decide tutto al vertice: è la segreteria nazionale a decidere i candidati da mettere in lista nelle elezioni politiche e il cittadino può solo mettere una croce sulle decisioni di altri. Ridare agli elettori la possibilità di esprimere le preferenze sarebbe la prima cosa da fare, per ricreare un rapporto di fiducia.

Più in generale tutti i partiti funzionano top-down, dall’alto verso il basso, mentre è quasi assente l’altro canale, anche più importante, bottom-up, dal basso verso l’alto.

Il cambiamento del modo di funzionare della politica (meno talk show e più lavoro tra e con la gente) è una questione decisiva per il miglioramento del paese e il coinvolgimento dei cittadini.

E’ bene inoltre richiamare la nostra responsabilità anche per i problemi più ampi, quelli mondiali. Di certo possiamo fare poco direttamente, ma sostenere delle giuste cause in modo da formare un’opinione pubblica e da sollecitare i partiti perché siano più presenti e attivi su questo piano, è qualcosa di assolutamente utile e necessario.

Fra le cose che si possono sostenere possiamo indicare a titolo di esempio: la riforma dell’ONU e del suo Consiglio di Sicurezza, il cambiamento degli Statuti delle organizzazioni finanziarie mondiali (Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale), realizzare norme di controllo delle multinazionali, la riduzione dei fattori nocivi nell’ambiente, ecc.

Soprattutto va ricordato che la giustizia sul piano mondiale costituisce il problema umano numero uno e dovrebbe pertanto, logicamente, essere anche al primo posto nell’agenda politica.

Per quanto riguarda l’Europa più che fare un elenco dei problemi si dovrebbe chiedere che diventi una reale organizzazione politica, altrimenti sarà terra di conquista dei colossi, americani e cinesi.

A parte l’errore iniziale di aver dato vita a una unificazione economica pensando che questa avrebbe poi trascinato un’unificazione politica, la realtà attuale è la mancanza di una politica comune in campi essenziali (politica industriale, politica estera, politica economica e finanziaria, politica della difesa).

In questo modo l’Europa non è in grado di confrontarsi con il resto del mondo e si manifestano solo tante posizioni nazionali diverse, ognuna con la pretesa di contare; non si vede neppure uno sforzo serio per superare questa situazione di stasi, che rischia di condannare l’Europa a essere una grande realtà del passato, piuttosto che una protagonista del presente e del futuro.

La coscienza etica si trova spesso a confrontarsi anche con alcuni problemi – spesso di attualità – di natura contemporaneamente nazionale e personale, motivo di costanti contraddizioni.

Una prima questione è rappresentata dall’ immigrazione: problema sempre aperto e spesso sbandierato come tema fondamentale in occasione delle elezioni politiche un po’ in tutti i paesi europei e non solo (e spesso su questo problema si vincono o si perdono le elezioni).

Prendere atto che ormai siamo entrati in un’epoca generale di migrazioni è un punto di partenza essenziale per sviluppare i ragionamenti successivi.

La maggior parte di coloro che emigrano sono persone che cercano lavoro e che cercano di stare meglio, come tutti (fra l’altro come gli italiani cento anni fa, quando emigravano nelle Americhe).

Non c’è da aver paura e da sollevare infinite preoccupazioni e cautele: è responsabilità del governo e delle istituzioni regolare bene il processo, sia l’ingresso sia l’inserimento.

Qui stanno le vere difficoltà: l’idea di contrastare gli arrivi ad ogni costo, ostacolando persino il lavoro di salvataggio delle ONG; i centri di accoglienza che, trattenendo troppo a lungo i migranti, sono fuori legge; i tempi infiniti di attesa per i permessi; lasciare della gente libera, ma senza il permesso di lavorare (e come vivono?) è sbagliato tanto più che l’Italia ha bisogno di lavoratori.

Dunque, quello dell’immigrazione è un problema esagerato per un verso (non è una minaccia alla nostra vita ed è ingigantito spesso ad arte) e per un altro è un problema pratico, di un miglior funzionamento delle istituzioni.

Sempre a motivo della paura e con l’idea che chiudendosi ci si difende meglio da un ipotetico nemico esterno, in questi anni sono rinate spinte nazionalistiche, sostenute e sponsorizzate da forze politiche che se ne ammantano come elemento di una battaglia identitaria.

Si tratta di un grave errore e grave è la responsabilità dei nazionalisti, perché ciò di cui ha bisogno il paese è esattamente l’opposto.

Ormai la maggior parte dei problemi sono mondiali e pensare di agire da soli senza la collaborazione di altri paesi non ha alcun senso.

Sia nel caso delle migrazioni come nel caso del nazionalismo è difficile comprendere come tante persone si lascino convincere da questi discorsi: forse è il desiderio di credere in qualcosa, in una prospettiva, in una bandiera, per difendersi da un mondo sempre più convulso.

E’ giusto pensare al proprio paese, non chiudendosi, ma in uno spirito di collaborazione con gli altri paesi, a partire dall’Europa.

Le tendenze nazionalistiche poi si coniugano facilmente con posizioni di ostracismo nei confronti di altri popoli e gruppi di persone; un effetto palese è un certo ritorno dell’antisemitismo.

Un altro problema, accentuato in Italia ma presente anche in altri paesi europei, merita di essere affrontato ed è quello di un confronto tra l’etica laica e quella cattolica (o più ampiamente religiosa). La nostra società è sempre di più laica, ma la componente cattolica è rilevante e così la sua influenza sulla popolazione: esiste una tradizione cattolica che va al di là del numero dei fedeli.

Penso che sia bene prendere atto di questa realtà, che a volte ritorna, e della necessità non della prevalenza dell’una o dell’altra posizione, ciò che provocherebbe inevitabili contrasti, ma di lavorare costantemente per trovare soluzioni comuni.

Molta strada è stata fatta dalla chiesa, una volta contraria agli stati liberali e alla democrazia e oggi disponibile a un rapporto sincero con la società moderna.

La chiesa ha oggi posizioni molto avanzate sul piano sociale e sul tema della pace, così i temi che dividono maggiormente la parte laica dalla parte cattolica sono quelli relativi alla questione della “vita”; problemi molto delicati dove da parte laica ci sono forze che vorrebbero spingere molto in avanti le libertà, mentre la chiesa tende ad assumere una posizione di difesa di principi fondamentali.

In un certo senso si può dire che con questa posizione la chiesa ha costituito un freno che ha impedito che fossero assunte decisioni con un’eccesiva semplificazione; però sarebbe sbagliato fermarsi qui, il dialogo deve continuare per pervenire a individuare posizioni condivisibili su un piano civile, accettabili da entrambe le parti.

Quella del dialogo è una strada obbligata perché questo problema esiste e sarebbe un errore sollevarlo per creare nuove divisioni.

Ognuno dovrebbe ragionare non solo per sostenere la propria posizione, ma cercando di avere una posizione comprensiva anche delle posizioni altrui.

Del resto, la chiesa ha di fatto abbandonato il sostegno a una presenza politica organizzata di cattolici, promossa in passato (ai tempi di Leone XIII) a causa della presenza di altre forze popolari – socialiste prima e comuniste dopo – con cui ha dovuto confrontarsi.

Il messaggio di Papa Francesco è ora rivolto a una visione universale della fede, proponendo problemi (l‘ambiente, la fratellanza, l’ingiustizia economica) che sono di tutti; la fede ritorna ad essere un discorso non rivolto ai soli fedeli, ma un messaggio universale diretto ad ogni persona.

3.La condizione dell’uomo d’oggi.

Di fronte ai molti cambiamenti intervenuti e così rapidamente, l’uomo attuale si trova spesso disorientato: prova paura (di non essere all’altezza, paura di un futuro che si presenta oscuro, paura di retrocedere, cioè di perdere ciò che è riuscito a risparmiare), angoscia (perché è sempre più solo), insicurezza (perché non ha più i riferimenti saldi di ieri: partiti, organizzazioni, comunità, religione).

E progressivamente la diffidenza, la scarsa fiducia verso le istituzioni e i partiti, diventa indifferenza: si lascia cadere ogni rapporto, non si vota più, ci si stringe attorno ai propri amici e ai propri interessi.

Un grande peso in questa evoluzione l’ha avuta la sparizione dei grandi partiti di massa di un tempo che raccoglievano milioni di persone dando loro motivi ideali e ragioni di vita.

Altrettanto la chiesa e le sue associazioni hanno costituito una presenza significativa, che ora però va diminuendo e perdendo influenza.

L’uomo è più solo nel fare le sue scelte e ogni scelta ha un significato morale, determina una responsabilità.

Ieri aveva dei riferimenti per fare queste scelte; oggi spesso sono del tutto individuali, senza una base a cui ispirarsi.

Nella società dei tempi passati, lo scopo sia della società (della politica) sia delle persone era il bene (comune). Ma oggi chi parla ancora di bene?

Così la politica nella società moderna si è separata dall’etica, assumendo come scopo dei risultati pratici; per questo non c’è più bisogno di etica (della saggezza), ma piuttosto di strumenti specifici, di una tecnica (per questo è nata la scienza politica).

Si può considerare Machiavelli come l’iniziatore di questo modo di concepire la politica: scopo del Principe non è il bene, ma il saper accrescere il potere del proprio Stato e possibilmente di allargare il suo territorio con ogni mezzo.

Ciò non è rimasto senza influenza sulle persone: la politica che vediamo e ascoltiamo ogni sera alla televisione non ha propriamente uno spessore etico (si spera, naturalmente, che la dimensione etica sia rimasta almeno a livello personale). In altre parole, l’etica si vede poco nell’attività politica.

Ora la base dell’etica personale è l’ethos collettivo, cioè quella dimensione etica condivisa e vissuta dalla maggior parte della gente e che si forma di fatto attraverso le leggi, la vita culturale, le regole dei vari settori di vita (la scuola, il lavoro, la chiesa, il quartiere). Per questo è importante il comportamento delle istituzioni e della politica, non solo per la loro specifica attività, ma perché contribuiscono alla formazione dell’ethos, sia positivamente sia negativamente.

E’ qualcosa che si impara vivendo: per esempio non uccidere, non rubare, fanno parte di questa base morale comune, di questo ethos collettivo.

Ma l’ethos non basta, poi vengono le scelte personali (che sono sempre scelte morali), doppiamente importanti: da una parte perché nella società di oggi complessa e frammentata sono fortemente aumentate le scelte che una persona deve assumere e, in secondo luogo, perché la morale personale è propria del soggetto, è un atto libero esclusivo, è un atto di responsabilità individuale, nessun altro può decidere al posto suo.

Perché la persona pervenga a un’etica matura (ciò di cui c’è un grande bisogno. Leggendo studiosi di varie discipline si sente un coro di lamentele sul fatto che la maggioranza delle persone non è in grado di capire consapevolmente, che sarebbe necessario un pubblico competente, che non tutti possiedono le risorse per poter diventare autonomi. Si può citare per tutti Habermas secondo cui la “ragione” può ottenere forza pratica solo affermandosi nelle teste dei cittadini più “illuminati” politicamente: un chiaro ritorno all’illuminismo originario) non c’è una strada sicura, un metodo garantito.

Le scelte individuali sono scelte tutte diverse le une dalle altre, dunque, è impossibile indicare una soluzione certa.

Per questo Aristotele metteva l’etica e la politica, non tra le scienze teoriche, ma tra quelle pratiche: e nella filosofia pratica – imperfetta, meno rigorosa delle scienze teoriche – il comportamento deve ispirarsi alla saggezza.

Dunque, nella pratica una persona si costruisce una coscienza etica, passo dopo passo, provando e riprovando, sbagliando anche, ma avendo di mira lo scopo: essere una persona matura eticamente.

4.Che cosa possiamo fare?

La nostra riflessione è partita dall’uomo moderno e dal suo disorientamento; invece, di essere autonomo e padrone di sé, sembra confuso e sopraffatto dalle condizioni della vita attuale (della quale abbiamo richiamato succintamente alcuni aspetti).

Molti si lamentano della sua impreparazione, incompetenza, disinteresse, indifferenza, indisponibilità.

Invece di essere l’elemento forte della catena è diventato l’anello debole.

Ma Il sistema democratico non si basa sulla libera decisione dei cittadini e questa democrazia non è stata forse conquistata a caro prezzo?

Ciononostante, quasi il 50% dei cittadini non partecipa più al voto, voto che non è un obbligo, ma un diritto, che dovrebbe essere un onore esercitare.

Dunque, se si vuole cambiare realmente la situazione (il paese, la politica, la vita sociale) bisogna partire dalle persone, dalle singole persone, e quello che occorre mettere in moto è un processo di cambiamento morale-culturale dei singoli.

Sembrerà un’impresa pazzesca, quella di cambiare le singole persone, ma altrimenti non ha senso la democrazia e soprattutto il paese non può funzionare.

In questa prospettiva possiamo pensare ad alcuni processi utili da avviare:

1.Elevare il livello culturale dei cittadini. C’è infatti anche un problema di bassa istruzione, ma forse occorrerebbe soprattutto cambiare i mass media e la scuola che dovrebbero formare di più alla capacità critica. Perché non fare qualche riforma di tipo nuovo: ad esempio, trasformare una delle tre reti Rai-Tv in una rete in mano alla società civile che sperimenti un modo nuovo di fare la televisione?

2.Occorre promuovere un diritto nuovo, il diritto alla verità, cioè il diritto a un’informazione corretta, di ricevere una formazione adeguata, di avere una comunità scientifica affidabile, di avere comitati di persone indipendenti e competenti su alcuni temi fondamentali, di avere un ambiente e una società che danno importanza alla verità.

3.C’è un forte ritardo e diffidenza verso le culture diverse, mentre un’apertura verso il mondo dovrebbe rappresentare un elemento costitutivo di una mentalità moderna. Gli immigrati in Italia sono oltre cinque milioni, molti italiani lavorano in aziende straniere, i prodotti che acquistiamo provengono spesso dall’estero (cellulari e computer in primis), molte sono le persone che fanno vacanze all’estero, siamo dunque a tutti gli effetti in un mondo globale. Se non vogliamo trovarci a disagio dobbiamo anche noi entrare in questo mondo globale, imparando le lingue, studiando gli altri paesi, visitandoli non superficialmente. Fortunatamente molti ragazzi italiani vanno oggi all’estero per studiare e lavorare, costituendo un’importante occasione di rapporti e di cultura da valorizzare.

4.Un tema di grande importanza è quello dei rapporti umani, che vanno valorizzati e promossi in vari modi e il più possibile. Si tratta di un tema della massima importanza, perché viviamo in una società dove abbiamo a che fare con altre persone in molteplici occasioni, ma anche, purtroppo, perché viviamo in un periodo di indebolimento di questi rapporti a causa proprio delle tendenze della società moderna: la padronanza di sé, in molti casi, si trasforma in individualismo, i rapporti via cellulare e computer hanno sostituito molti rapporti umani personali (ad esempio, non si va più in banca, si comprano on-line i libri, i biglietti aerei e ferroviari, cresce ogni giorno l’e-commerce, ecc.), le identità sono diventate più leggere, mutevoli, intercambiabili; infine a causa delle nostre varie paure siamo portati a chiuderci in noi stessi (ad avere un io minimo, come diceva Christopher Lasch). Ma il rapporto con gli altri è fondamentale, perché degli altri abbiamo bisogno, siamo tutti legati gli uni agli altri e, migliori sono i nostri rapporti, migliore è la nostra vita e la vita comune.

5.Siamo in un paese democratico, ma abbiamo preso la democrazia come un quieto vivere, qualcosa che funziona automaticamente per garantire la nostra vita (lo Stato ci protegge, abbiamo molti servizi pubblici, siamo riconosciuti e rispettati). Ma la democrazia, per funzionare ha bisogno anche del nostro contributo, della nostra partecipazione. Essere democratici vuol dire manifestare la propria libertà, farne uso. Tutte le istituzioni e attività dovrebbero ispirarsi alla democrazia, perché questo abitua le persone ad essere libere, dunque responsabili. L’art.1 delle Costituzione affermando che la Repubblica italiana è fondata sul lavoro stabilisce che la partecipazione sociale (il concetto di lavoro va infatti intenso in senso ampio come l’insieme della vita sociale) riveste, per il suo carattere quotidiano, un rilievo prioritario, venendo quindi prima della partecipazione politica. Per questo uno dei settori che richiederebbe una vera rivoluzione democratica è quello del lavoro. Il lavoratore non è solo “forza lavoro”, è anche una persona, un cittadino; maggiore è la partecipazione che gli viene riconosciuta, maggiore è lo sviluppo della sua libertà e responsabilità, tanto in azienda quanto nella società.

6.Un tema che si è già presentato nelle pagine precedenti è quello dell’ethos comune; in Italia sono molteplici le divisioni, alcune delle quali storiche: destra e sinistra, laici e cattolici, Nord e Sud, italiani e stranieri, cui si aggiungono i pregiudizi nei confronti delle donne, degli ebrei, degli omosessuali, ecc. Se vogliamo un paese più sereno e costruttivo occorre preoccuparsi di creare delle basi comuni che vengano prima delle legittime differenze di opinione. E’ compito di tutti portare avanti le proprie idee, ma nello stesso tempo e col medesimo impegno, ricercare sempre quanto c’è di comune e soprattutto accrescerlo e rafforzarlo. Il dibattito perenne a proposito del 25 aprile se è una festa di parte o di tutti è un esempio in proposito, che dopo tanti anni rimane irrisolto.

7.Abbiamo ricordato che nella società moderna, frammentata e sempre più complessa, la persona si trova spesso di fronte a delle scelte impegnative. Nella realtà è molto aumentata la responsabilità morale delle singole persone; pertanto, l’uomo di oggi deve essere più morale del passato perché non ha più tutti gli appoggi (religiosi e politici) di un tempo, che lo indirizzavano. Occorre pertanto che le persone si preparino maggiormente da un punto di vista etico per essere all’altezza della situazione. Essere più liberi, vuol dire avere un maggior peso morale sulle spalle, una maggiore responsabilità (Questo spiega perché Etienne De La Boétie parlava di “servitù volontaria”: molti preferiscono avere meno libertà, pur di avere meno responsabilità).

8.Per tutto questo è molto importante che le istituzioni e i partiti, nella loro attività, evidenzino in modo chiaro i valori cui si ispirano. Non si tratta di dichiararsi a favore di principi astratti (libertà, giustizia, solidarietà, democrazia), ma di dimostrare che i valori in cui si crede ispirino concretamente le diverse proposte e facciano parte dello spirito e del modo di essere di un partito. Occorre operare in modo che si ritorni a una politica che dia più importanza all’etica (si potrebbe dire, ricordando il passato, una politica che guardi non solo all’efficacia, ma anche al bene). “Non di solo pane vive l’uomo”. La gente ha bisogno di valori (religiosi, filosofici, politici, ecc.) per vivere e se non li trova si adatta anche ad accettare falsi valori. Tutte le diverse associazioni e i vari organismi (le chiese, innanzitutto, ma anche la scuola, i partiti, il sindacato, il terzo settore, le istituzioni sociali, ecc.) dovrebbero contribuire a questo, in modo che l’etica, oggi messa da parte e dimenticata, ritorni ad avere un ruolo significativo nella vita pubblica e sociale.

Sandro Antoniazzi

pubblicato il 27 giugno 2024 su Demos Milano

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