Foto: Unsplash, inquinamento

L’allarme delle associazioni ambientaliste e il richiamo alla responsabilità collettiva

Durante i mesi di lockdown è stato riscontrato quanto la terra, quasi nella sua interezza, abbia avuto la possibilità di respirare un’aria più pulita grazie al calo di agenti inquinanti, all’enorme diradamento del traffico, alle chiusure imposte, alla riduzione in generale dei ritmi produttivi delle industrie. Nel lungo periodo, non sarà però possibile godere di questi benefici, che hanno avuto breve durata: una letterale boccata d’aria fresca per tornare al preoccupante inquinamento ambientale.

Se qualcuno pensava di aver fatto grossi passi avanti nel contrastare lo smog, l’inquinamento dell’aria, il cambiamento climatico in appena due mesi…no non è servito a niente: i livelli d’inquinamento registrati secondo l’ultimo rapporto ESA – European Space Agency, attraverso il satellite  Copernicus Sentinel-5P (lo stesso da cui si è potuto osservare la diminuzione di inquinamento mondiale durante il lockdown), sono tornati alti nei mesi di luglio-agosto.

Mentre i livelli d’inquinamento nell’aria si abbassavano, venivano prodotte sempre più mascherine e guanti monouso non biodegradabili. Dispositivi essenziali per la protezione individuale nell’era del coronavirus, ma che tuttavia destano non poca preoccupazione poiché destinati a finire negli oceani, nei corsi d’acqua e nelle discariche peggiorando l’inquinamento da plastica.

È forte la mobilitazione delle associazioni ambientaliste: il WWF ha lanciato una campagna di sensibilizzazione, rivolta in particolare alla riapertura delle scuole, per richiamare all’attenzione l’impatto che le nuove produzioni e l’irresponsabilità di chi le utilizza hanno sull’ambiente.

Una conseguenza che è facilmente osservabile non solo grazie a studi e ricerche dei fondali marini, ma semplicemente osservando le strade, i prati, le aiuole e persino le nostre spiagge. L’inciviltà regna sovrana accanto a procedure di smaltimento non adeguate.

L’Ispra – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale ha stimato per l’intero 2020 tra le 160mila e le 440mila tonnellate di dispositivi anti Covid dovranno essere trattate come rifiuti indifferenziati. “Se solo l’1% delle mascherine utilizzate in un mese venisse smaltito in maniera non corretta, si avrebbero 10 milioni di mascherine al mese disperse nell’ambiente”. Sin da maggio, l’associazione Opération Mer Propre sosteneva che nel Mar Mediterraneo fossero presenti “più mascherine che meduse”.

La raccomandazione da parte degli esperti e di chi si occupa dello smaltimento dei rifiuti è di utilizzare la raccolta indifferenziata così che i dispositivi vengano destinati agli inceneritori e non alla dispersione nelle discariche e nell’ambiente.

È necessario accostare responsabilità individuale e collettiva in quanto, rimarca il WWF nella sua campagna “Non deve finire così”: “smaltendo correttamente le mascherine usate proteggiamo la salute dell’ambiente a cui è intimamente collegata anche la nostra salute”.

Alice Cubeddu

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2 thoughts on “Mascherine e guanti: nuovo inquinamento ambientale”

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