Panchina rossa

Ci sono due date sul calendario che hanno l’intento di portare a delle riflessioni sulla tematica della lotta contro la violenza sulle donne: l’8 Marzo “La giornata internazionale dei diritti della donna” che dal 1977 vuole celebrare le conquiste sociali, economiche, politiche, i riconoscimenti, e mostrare le discriminazioni e le violenze cui oggetto sono le donne in tutto il mondo. L’altra, è quella del 25 Novembre, dal 1999 la “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne”.

Due giornate designate in cui vengono presentate statistiche, sviscerate le tipologie di violenze ogni giorno perpetrate ai danni delle donne. La volontà sarebbe quella di incanalare l’attenzione su una tematica difficile da affrontare, alla quale è difficile dare ascolto, prestare attenzione e far fronte, poiché porta con sé più punti di vista, perché di più tipi sono le violenze contro cui occorre combattere e su cui occorre mantenere un forte dialogo capace di dare la conoscenza e l’educazione di un fenomeno che, nella sua forma più violenta, ha dovuto trovare una sua terminologia per le implicazioni che porta con sé: non più solo “omicidio” ma “femminicidio”. Un termine a parte che aveva la necessità di esprimere altri significati per spiegare perché una donna viene uccisa: la coercizione, l’oppressione, “l’eliminazione materiale e simbolica delle donne e al controllo del resto. […] Nel femminicidio c’è volontà, ci sono decisioni e ci sono responsabilità sociali e individuali.” (Marcela Lagarde, Identidades de género y derechos humanos. La construcción de las humanas)

Un atto violento, di distruzione della persona stessa, di ciò che essa rappresenta. Per questo allora non sono sufficienti due giornate in cui peraltro tra mimose e feste ne viene perso di vista il reale significato, che vuole ricordarci le conquiste fatte da una parte, e dall’altra vuole interpellare la società tutta a non considerare solo i numeri che vengono presentati continuamente quasi a prova tangibile del problema, ma a una riflessione più ampia su tutte le forme di violenza, fisica, economica, psicologica, che non appartiene solo al singolo, ma anche alla società.

Da qualche giorno è uscita la campagna firmata dal magazine americano Girls Girls Girls, diventata subito virale, in cui Cynthia Nixon è la voce narrante che attraverso le parole che Camille Rainville pubblicò nel suo blog tre anni fa, racconta le pressioni, le costrizioni, i pregiudizi e le contraddizioni che ogni donna deve costantemente affrontare.

 

“Be a Lady, they said”

E nessuno dovrebbe dire come, né quando. Si può, si deve lavorare sul come combattere queste violenze, e non solo l’8 marzo.

Alice Cubeddu

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