Viaggio dalla città umana alla città vuota

 Di recente una giuria composta da esperti di fotografia e “figure eminenti” della città meneghina, ha premiato, con il sostegno di Fondazione Cariplo, il patrocinio del Comune di Milano e la collaborazione della Camera di Commercio di Milano, due fotografie giudicate le più adatte a rappresentare la contemporaneità della città, tra tutte quelle giunte alle prime due open call del concorso MilanoMeravigli, indetto da Fondazione Forma per la Fotografia e G.R.I.N. (Gruppo Redattori Iconografici Nazionali).

L’evento prevede che le opere dei vincitori, oltre ad avere un riconoscimento economico, piuttosto contenuto in verità, vengano poi esposte assieme ad altrettante foto storiche, scattate da fotografi noti, nelle vetrate della Galleria Meravigli. Il vincitore della prima open call è risultato Francesco Falciola e la sua immagine è stata affiancata a una foto di Gianni Berengo Gardin. Per la seconda viene premiato Martino Lombezzi e a fare da sponda c’è una fotografia del 1968 di Carla Cerati.

Osservando le due immagini premiate non posso non notare come la scelta sulla quale la giuria si è attestata risulti decisamente agli antipodi rispetto alle cosiddette “foto storiche” ad esse abbinate, non tanto per una questione legata al tempo che le separa quanto per la diversità oggettiva posta nel criterio di selezione.

 

 © Francesco Falciola

Senza nulla togliere alle qualità dei due fotografi premiati (non è questo il punto della mia riflessione), mi preme tuttavia sottolineare come le due fotografie mostrino una città che affida alla pura forma estetizzante la propria immagine.

Milano, cinquant’anni dopo non è soltanto cambiamenti estetici, è anche cambiamenti culturali ed economici. Milano possiede oggi un altro primato: è la prima città italiana per affluenza turistica, complice Expo2015 e proprio le migliorie estetiche che l’Esposizione Universale si è portata dietro.

 

© Gianni Berengo Gardin

Le fotografie di Berengo Gardin e di Carla Cerati sono viceversa scattate in tutt’altro contesto: immagini di una Milano decisamente “scomparsa” per far posto a una nuova città che sembra sapere ciò che vuole per il suo futuro. Una identità vuota a confronto con una pienezza di idee e di presenza. Dovrebbe far riflettere leggere la scritta che, dalla foto di Gianni Berengo Gardin, ammicca ad un tenore di vita ancora troppo popolare per una città già pienamente industriale, messa a confronto con l’immagine di Falciola che intende sottolineare l’esclusiva cornice delle Colonne di San Lorenzo dimenticandosi di quel lavoro industriale che è scomparso e non viene più rappresentato.

Chissà se chi ha premiato Falciola e Lombezzi, oltre a sottolineare l’estetica di questa nuova città, si è reso conto della sostanziale differenza tra queste fotografie da loro stessi accostate. Non un semplice passaggio da ciò che era ieri a ciò che è oggi, come banalmente sembra voler essere rimarcato, ma una trasformazione che passando attraverso gli individui arriva al vuoto anonimo.

Si legge nelle motivazioni che hanno portato alla premiazione di Lombezzi: ”[…] sintesi perfetta di quello che sta accadendo: la Milano verticale che si innesta su quella orizzontale. Tutto riassunto in un’unica inquadratura. Essenziale, piena, ma non eccessiva. Questa è Milano, la nuova Milano e la forza di questa immagine è evidente. Non serve altro. È una fotografia potente che racconta con un linguaggio forte a cui non servono le parole. Basta guardare per capire che città è stata, che città è e che città vuole essere”.

 

© Martino Lombezzi

È questa la Milano del presente e del futuro? Il nulla emanato dalle immagini di Falciola e Lombezzi raggela. I due fotografi, forse ignari, hanno il pregio di mettere in evidenza, loro malgrado, metaforicamente e non, una realtà fredda e anonima in cui non esiste la figura umana ma soltanto la scenografia teatrale di una città che, per dirla con le parole del business, si rifà l’abitoriqualificandosi a scapito dei cittadini i quali, in tale contesto, divengono talmente “ininfluenti” da scomparire dalla scena.

Dunque non più volti in prima fila, come quelli che si vedono nella fotografia di Carla Cerati, sgranati, sporchi eppure riconoscibili, veri, ma quinte che appaiono in tutto il loro perfetto gioco cromatico, come si addice ad una immagine ben post-prodotta secondo i canoni imperanti dettati da coloro che stabiliscono come deve essere la fotografia contemporanea.

 

© Carla Cerati

Una Milano post-prodotta dunque, molto fashion/design, in cui ogni iniziativa è studiata per apparire esteriormente, con i suoi locali alla moda, i boschi verticali, le piazze Gae Aulenti e Alvar Aalto, le gallerie di lusso in cima ai palazzi di Corso Vittorio Emanuele: strutture, impalcature, montate ad arte per sorreggere un corpo vuoto e anemico che sfila in passerella.

Nel corpo della città il pulsare del sangue nelle vene è altrove ma questo, ai promotori della Open Call Permanente MilanoMeravigli e ai loro sostenitori, sembra non interessare.

Giovanna Gammarota

Giovanna Gammarota si occupa di arti visive e in particolare di fotografia. Come fotografa  i suoi più importanti lavori sono stati:Sopraluoghi in Lucania. Sulle tracce del “Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo PasoliniA piccoli passi. Un treno per AuschwitzDi case e di alberi. Camminando con Beppe. Ha partecipato a numerose mostre personali e collettive. È autrice di testi critici, come redattore ha scritto per le testate giornalistiche Punto di Svista – Arti visive in Italia e Cultframe – Arti Visive. Vive e lavora a Milano. (foto di Fulvio Bortolozzo, dal sito Centro Studi Pier Paolo Pasolini Casarsa.it)
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