Lavorare in squadra, leadership, gestione della complessità, rispetto e accettazione dei ruoli, ambizione e competitività. Sono attitudini che si addicono di più a una carriera aziendale o a un proficuo percorso sportivo? Entrambi, è ciò che emerge da uno studio dell’Università Cattolica di Milano che attraverso la collaborazione con enti sportivi e accademici europei ha sviluppato un progetto finalizzato a utilizzare lo sport come veicolo di sviluppo di abilità e competenze funzionali al mondo del lavoro.
Il 30 marzo, presso l’Università Cattolica di Milano, si è svolto l’evento conclusivo del progetto “SPORT 4MED” attraverso la realizzazione di una tavola rotonda che ha coinvolto gli addetti ai lavori del progetto. “Dallo sport come leva di sviluppo di competenze alle richieste del mercato del lavoro” è stato il tema della discussione che visto coinvolti oltre una dozzina di esperti del settore sportivo e lavorativo.
L’apertura del convegno è spettata a Marco Arpino, dirigente sportivo CONI, che ha specificato il significato dei concetti di abilità e competenze: se il primo si riferisce alla capacità di risolvere compiti e problemi, il secondo sviluppa la capacità di riprodurre ciò che si è appreso. Entrambe queste “skills” appaiono utili sia nel mondo del lavoro che nella carriera sportiva.
L’intervento di Paolo Bertaccini Bonolis, dell’Istituto Internazionale Italiano Studi Sport Società, ha invece posto l’attenzione sul concetto di trasferibilità delle competenze, vale a dire sulla capacità di riprodurre ciò che si è appreso nel mondo dello sport anche nel mondo del lavoro. Il processo, infatti, non è automatico e richiede anche la presenza di personale strutturato e preparato che possa facilitare questa transizione. Non basta infatti fare sport, è come si fa sport che fa la differenza; è il concetto espresso da Paolo Bouquet professore dell’Università di Trento. Emerge dunque che acquisire competenze nello sport non consente in automatico di utilizzarle nel mondo del lavoro, vi è la necessità di una trasmissione, che sia basata sul favorire la consapevolezza individuale degli atleti e sullo sviluppo dell’allenatore come figura chiave per rendere consapevoli gli atleti delle loro competenze.
Importante testimonianza è giunta anche da Filippo Galli, ex calciatore di ruolo difensore che con la maglia del Milan ha superato le 200 presenze, che negli ultimi quindici anni ha ricoperto vari ruoli legati allo sviluppo dei settori giovanili in Italia: da responsabile del settore giovanile del Milan a collaboratore della FIGC con un ruolo legato allo sviluppo del calcio giovanile in Italia. Lo sguardo di Galli si concentra sull’importanza di mettere in discussione il ruolo di “istruttore” nelle categorie giovanili favorendo delle figure educativo sportive che siano in grado di far apprendere piuttosto che istruire. Altro aspetto cruciale dell’educazione sportiva passa attraverso l’adozione di un metodo condiviso che permette di trasmettere valori simili anche in categorie e sport differenti tra loro.
Emerge dunque fondamentale la figura dell’educatore sportivo, dell’allenatore, di una figura di riferimento che non sia solo trasmettitore di competenze ma che sappia anche ispirare, accompagnare e promuovere le potenzialità di ciascun individuo fuori e dentro il terreno di gioco. Secondo Mario Dal Verme, Coordinatore Internazionale Sport Scholas Occurrentes, è infatti la figura dell’allenatore che deve rendere gli atleti consapevoli delle loro competenze. La riflessione non può dunque non spingere a domandarsi se oggi le figure di riferimento del mondo sportivo per i più giovani siano davvero in grado di farlo e se la stessa formazione che gli allenatori perseguono sia abbastanza legata a questa tematica. Aggiunge Edgardo Zanoli che lo sport non va mitizzato. Lo sport, di per sé, non basta infatti a svolgere quel lavoro di formazione e trasmissione di competenze che vengono oggi ritenute utili all’unanimità. Lo sport è uno strumento, usarlo bene è una competenza. Ecco perché urge formare dei tecnici che siano in grado di comprendere che il loro ruolo è cruciale nel fare emergere gli aspetti positivi che esso può trasmettere. Tra gli spunti emersi torna anche il tema delle differenze tra lo sport d’élite e quello dilettantistico dove emerge la necessità di superare la scissione tra sociale e agonismo che permea entrambi gli ambienti.
Milano, 11/04/2023
Gian Marco Duina