Quattro anni fa, il 30 agosto 2016, la presidente signora Dilma Rousseff veniva deposta per decisione del senato presieduto dal ministro del Supremo tribunale federale/STF Ricardo Lewandowski. Le accuse a lei imputate non concernevano reati previsti dalla Costituzione del 1988 né dalle leggi che regolano tale possibile pratica. Assumeva la massima carica Michel Temer, già vicepresidente, grande manovratore della lunga cospirazione sotterranea ed eversiva cresciuta per vie oscure e mercanteggiamenti di tutti i tipi. Rapidamente Temer cominciava a pagare il debito contratto con i suoi mandanti ed alleati, cioè l’élite bianca imbevuta di mentalità e cultura schiavista che non sopportava il moderato riformismo del governo di centro-sinistra che fra il 2003 e il 2016 si era sviluppato sotto la presidenza di Lula e di Dilma. Già a dicembre 2016 l’esecutivo frutto del golpe presentava – e un congresso obbediente, in cui non pochi deputati avevano ottenuto contropartite varie votava – la PEC/Proposta di Emenda Costituzionale 55, detta Pec della morte, che bloccava il tetto di spesa pubblica per venti anni. Iniziava con tempi molto compressi lo smontaggio dell’azione precedente di governo volta a iniziare a onorare l’infinito debito sociale storico con incremento di scuola pubblica, sanità universale, abitazione popolare, sostegno al reddito; e insieme si scatenava l’attacco frontale alle relazioni industriali con una revisione di sistema pensionistico, stabilità di occupazione, ruolo dei sindacati ecc. Un progetto neoliberista da manuale, ovviamente comprensivo di privatizzazioni a prezzi stracciati e senza licitazione di interi settori produttivi, soprattutto industriali, costruiti nel corso di decenni con i denari di tutti i cittadini e le cittadine.
Ma perché questa furia devastatrice e questa fretta esasperata invece di aspettare tranquillamente le elezioni? La élite bianca schiavista non era tanto sicura di vincere le elezioni del 2018 ed era anche, e forse soprattutto, animata da un forte odio sociale venato da desiderio di vendetta di classe; probabilmente, anzi certamente, trovava appoggi al di fuori dei confini della federazione. Tre indirizzi assunti e portati avanti in modo abbastanza deciso e dichiarato di inclusione sociale hanno, nel corso di una dozzina di anni di governo di centro sinistra, fatto vacillare i riferimenti identificativi della élite: in particolare la messa in discussione dell’egemonia bianca (privilegio branco e prejuizo de cor), la costruzione attraverso la politica estera di una dignità nazionale riconosciuta che invalidava il disprezzo per il proprio paese e i suoi cittadini tipico della élite e, naturalmente, la paura di perdere vantaggi materiali. Credo che tre misure specifiche siano state vissute con particolare sofferenza (e insofferenza) da parte della élite monolitica passata praticamente indenne dalla schiavitù alla Repubblica nelle sue diverse fasi. La politica delle quote ha reso visibile la presenza di neri in luoghi loro tradizionalmente preclusi (senza bisogno di leggi di apartheid) quali istruzione superiore e universitaria, professioni liberali, incarichi dirigenti in uffici pubblici. La politica salariale che stabiliva un aumento regolare e costante anno dopo anno del salario minimo un po’ al di sopra dell’inflazione reale consentiva a strati sociali abitualmente invisibili di accedere a consumi quali un viaggio in aereo e proiettava nel tempo un miglioramento economico duraturo destinato a coinvolgere liquidazione, pensione ecc. Infine la realizzazione della CNV/Commissione Nazionale della Verità ha dato un colpo simbolico (sfortunatamente non giudiziario) alla sicurezza dell’impunità per chi da sempre (e possibilmente per sempre) controllava le leve del potere. Come poteva essere che cinquanta anni dopo il colpo di Stato militare del 1964 una donna (una donna?!) osasse squadernare sotto gli occhi di tutti l’ignominia compiuta per venti anni contro i cittadini e dare nome alle colpe e ai colpevoli e buttare all’aria il tappeto sotto il quale si era voluto nascondere la spazzatura? Certo, per anni e anni forze democratiche e militanti avevano denunciato gli orrori della dittatura: ma era facile per i mass media trattare la faccenda come una questione che riguardava minoranze estremiste. La CNV ha rotto uno schermo che raccontava una storia manipolata. Tutto ciò è stato insopportabile per l’élite, bisognava punire e così si è arrivati al golpe di agosto 2016.
I 30 talenti di Michel Temer sono stati due anni di finta presidenza. Il suo compito è stato di fare in combutta con un parlamento manipolato leggi su leggi antisociali, antinazionali, anti-ambientali. Io credo che il progetto della élite fosse di vincere le elezioni politiche e presidenziali dell’ultimo trimestre 2018 con un candidato neoliberista di centro e riprendere i posti di potere abituali facendo scomparire nell’oblio la rottura istituzionale del golpe del 2016. Ma le cose non sono andate così. Nel 2018 i partiti tradizionali di centro sono scomparsi, mentre si sono eletti parlamentari e anche governatori praticamente ignoti, il candidato neoliberista predestinato non è arrivato al secondo turno. Così, per odio verso il candidato democratico di sinistra moderato Fernando Haddad, è risultato eletto il signor Bolsonaro espressione di una estrema destra fascistizzante.
Non è facile ricostruire come tutto ciò sia avvenuto, quali i complessi meccanismi che hanno agito sulla scena e dietro le quinte. Enorme è stata la campagna di odio contro il PT/Partito dei Lavoratori e contro forze e singoli cittadini democratici. A questo fine è stato utilizzato il processo farsa contro l’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva messo in azione mediatica accelerata subito dopo il golpe nel settembre 2016. La vicenda è nota: attraverso procedure giudiziarie fantasiose e non previste dai codici Lula è stato attestato e sequestrato il 7 aprile 2018 e così mantenuto fino all’8 novembre 2019. Il lavoro informativo svolto del giornale The Intercept Brasil ha dato prove puntuali dell’illegalità continuativa del processo stesso. Gran parte della responsabilità della rottura istituzionale e della grave deriva autoritaria che si realizza a partire da inizio 2019 e che continua ad accentuare il proprio carattere anticostituzionale ricade sul potere giudiziario. Non solo sul gruppo di magistrati, procuratori e giudici, della sede di Curitiba, in realtà manovalanza di un progetto altrui per il quale non avevano né forza autonoma né capacità strategica, ma, moltissimo, sugli alti istituti del potere giudiziario che hanno lasciato dilagare comportamenti lontani da procedure e codici, quando non hanno direttamente emanato sentenze e disposizioni prevaricatrici. Ad esempio, fra tante, avere dato copertura formale all’impedimento di assunzione di cariche o candidature da parte dell’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva.
Vorrei qui solo ancora indicare quali sono i gruppi sociali ai quali il signor Bolsonaro si appoggia (cosa distinta da coloro che lo hanno votato) e che hanno forti rappresentanze all’interno dell’esecutivo federale. Non pochi sono i legami con militari che occupano un elevato numero di cariche di diverso livello nell’esecutivo. Militari non significa forze armate come un tutto. Molto condizionante è la presenza dei quadri dirigenti di strutture religiose in particolare pentecostali e neo-pentecostali, ma anche presbiteriani. Il mondo evangelicale ha convogliato voti su Bolsonaro e ha una posizione rozzamente aggressiva per imporre a tutto il paese la propria visione cosiddetta morale in materia di opzioni sessuali, controllo del corpo femminile, rifiuto delle conoscenze scientifiche, impedimento della libertà di insegnamento. Vi è poi il settore di diretto appoggio e manovra della famiglia Bolsonaro, cioè le milizie, in particolare di Rio de Janeiro che controllano territori e non di rado allungano le loro propaggini all’interno delle forze dell’ordine creando una situazione di grave illegalità. Si tratta di sub-mondi periferici rispetto alle strutture istituzionali, socialmente riconosciute e variamente regolate che formano normalmente il corpo di una società civile. Nel corso dei mesi iniziati a gennaio 2019 il Brasile è stato sottoposto ad una specie di punizione collettiva che ha fatto fare un grande passo indietro. In materia ambientale l’aggressione è brutale; la deriva della giustizia non viene affrontata con la fermezza necessaria nonostante la documentazione degli abusi passati e in corso in un contesto di scandalosa selettività dell’uso del potere giudiziario; il quadro economico vacilla; misure autoritarie gravi, fascistizzanti avvengono alla luce del sole, come la schedatura di poliziotti per “reato” di antifascismo, l’invito alla delazione di insegnanti per quello che dicono a lezione, la tolleranza o meglio il plauso di manifestazioni che attaccano le istituzioni sventolando simboli nazisti e simili. Su tutto questo la pandemia ha bloccato la possibilità di manifestazioni mentre la gestione negazionista della stessa da parte del governo federale ha costato fino ad ora 118.000 decessi.
Richiamo alla memoria questi fatti non solo perché penso che sia opportuno avere una idea di quello che avviene in uno dei grandi paesi del mondo e di cui la stampa italiana parla a sprazzi, ma anche perché ritengo che gli organismi dirigenti della Unione Europea e dell’Italia in particolare abbiano un pericoloso atteggiamento distratto al riguardo della deriva democratica in alcuni paesi dell’America del Sud. O per meglio dire hanno una distrazione selettiva: alcune nazioni sono sottoposte a continue ingerenze, sanzioni, denigrazione altre vengono trascurate, ad esempio la Bolivia devastata dal golpe contro Evo Morales del novembre 2019. Nel caso specifico del Brasile si tace sulla deriva autoritaria mentre non lascia tranquilli il fatto che persone note e di primi piano abbiano dato pubblicamente credito ai magistrati di Curitiba infedeli alla Costituzione e ai codici o che politici noti abbiano sentito l’urgenza di esprimere grande soddisfazione per l’ascesa del signor Bolsonaro. La democrazia non è divisibile ed è bene non ammiccare con esecutivi autoritari. E neanche tacere e guardare dall’altra parte.
Teresa Isenburg
San Paolo, 29 agosto 2020
Precedenti articoli sul Brasile in www.latinoamerica-online.it
(Foto di copertina: Brasile, senato approva impeachment: Dilma Rousseff destituita dalla carica di presidente. Il Fatto Quotidiano 31 Agosto 2016)