Le porte delle case nel centro storico di Faenza sono spalancate. Ragazzi e ragazze con il fango fin sopra i vestiti si affacciano alla porta per chiedere se serve una mano. “No, grazie, è già passato un gruppo ad aiutarci, andate pochi metri più avanti, c’è una signora anziana che ha bisogno di svuotare la cantina”. La solidarietà, nelle zone colpite dall’alluvione in Emilia Romagna, funziona così. Ci sono gli aiuti istituzionali, c’è la protezione civile e gli spurghi, ci sono i centri di coordinamento dei volontari, ma poi c’è tanta solidarietà spontanea che fa convergere centinaia e centinaia di persone, da ogni parte dello Stivale, a bussare casa per casa e assicurarsi che vada tutto bene.

foto di Shirin Reza Elahi

Non va tutto bene, perché l’alluvione ha spazzato via nel giro di pochi giorni sacrifici, ricordi e memorie di una vita. Sono 15 i morti di quello che non può essere considerato né maltempo né una “catastrofe naturale”, perché le responsabilità umane sono altissime, in una scellerata cementificazione della zona senza tenere conto delle possibili conseguenze disastrose verificatesi. Non va tutto bene, perché a distanza di settimane sono ancora numerosissime le abitazioni che non hanno avuto accesso agli aiuti nello sgombero dei locali e nella pulizia dal fango che si è accumulato soprattutto nelle cantine ma anche nei locali delle abitazioni. Non va tutto bene, ma la solidarietà mostrata nei territori colpiti va ben oltre i secchi pieni di fango che passano mano nella mano di giovani, adulti, talvolta anche bambini, sconosciuti tra loro ma accomunati dal desiderio di aiutare. Va ben oltre, perché la solidarietà scalda, ha un potere benefico, è contagiosa. “Grazie mille per quello che avete fatto, non avremmo saputo come fare senza di voi, siete degli angeli” dice Fabrizio, proprietario di un negozio a Faenza interamente sommerso di fango. “Non c’è di che, non siamo angeli ma facciamo ciò che crediamo sia la cosa migliore, aiutarci a vicenda. La solidarietà è un’arma, nessuno ce la può togliere, se ci aiutiamo a vicenda siamo più forti!” risponde un ragazzo delle Brigate Volontarie per l’Emergenza, giunti da Milano con oltre 50 volontari. “Io, al posto, vostro non so se l’avrei fatto” confida Fabrizio mentre con la canna dell’acqua toglie il fango dagli stivali di un volontario “non credo mi sarei mai messo in prima persona per aiutare da un’altra città, in un posto che non conosco. Almeno non prima d’ora. Adesso forse ho cambiato idea, se dovesse succedere qualcosa da qualche altra parte andrei anche io come volontario.” “E’ il potere contagioso della solidarietà!” risponde il ragazzo delle Brigate, infangato dalla testa ai piedi “ora non sprecare acqua per pulirci” aggiunge “ci laveremo una volta a casa. E poi se arriviamo in Piazza puliti i nostri colleghi dicono che non abbiamo lavorato abbastanza!”
Il gruppo delle Brigate, infatti, si ritrova in Piazza del Popolo dopo aver svuotato 5 cantine in una giornata. Insieme a loro migliaia di volontari si concedono il meritato riposo affollando la piazza, sedendosi sui gradini del Duomo cinquecentesco, ballando a suon di musica o lanciandosi il pallone da un portico all’altro della piazza. Fango, stivali, pale, badili, carriole, il centro di Faenza non è mai stato così affollato, a stonare è solo chi cammina senza macchie di fango addosso. Da un lato della scalinata si intona “Romagna mia”, al termine del canto rispondono con “O mia bela madunina”, poi una ola coinvolge l’intera piazza, mentre alcuni banchetti regalano cibo e bevande a chi ha lavorato tutto il giorno. Sembra una festa.

foto di Shirin Reza Elahi

Non è una festa, non c’è granché da festeggiare, ma è una rivendicazione. Perché un migliaio di giovani in piazza non ha spazzato via solo fango dalle cantine ma anche tanti pregiudizi e una retorica ormai in voga da diversi anni. Eccoli lì, col fango fin sopra i capelli e i piedi nudi con le vesciche, i giovani della generazione dei “fannulloni”, individualisti, dediti solo alle dinamiche del lavoro e con pochi interessi. Studenti, lavoratori, precari, disoccupati, è la generazione che maggiormente ha pagato il prezzo delle crisi economiche e delle incertezze di questa società. Eppure mai domi, sempre alla ricerca di creare sinergie, di sporcarsi le mani, di mettersi in gioco, di essere protagonisti. I facinorosi che negli anni si sono battuti contro la cementificazione del territorio, i fannulloni che a Milano contestano il caro abitativo degli affitti, i faziosi che a Firenze contestano lo spregiudicato utilizzo di materiali tossici nelle industrie, i ragazzi e le ragazze che da tutta Italia hanno bloccato le strade per urlare il loro disappunto verso la gestione del Pianeta che siamo chiamati a cogliere in eredità, oggi sono al fianco del popolo romagnolo armati di stivali, pale, tira-acqua, grinta ed entusiasmo. Non angeli, ma uomini e donne in carne ed ossa, senza ali ma con gli stivali, non mossi da uno spirito caritatevole e serafico ma arrabbiati per la miopia della conduzione politica ambientale e affetti da un morbo molto contagioso: la solidarietà.

Gian Marco Duina
31/05/2023

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