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Tra revenge porn e furto d’identità

Di storie tragiche che vedono protagonisti giovani e giovanissimi caduti vittima delle varie declinazioni in cui si presenta il cyberbullismo ne affiorano fin troppe. Tyler Clementi, giovane studente americano, si toglie la vita dopo che il compagno di stanza ne aveva violato la privacy, diffondendo all’interno del loro campus video compromettenti di alcuni incontri sessuali tra Tyler e il suo ragazzo. Anche Amanda Todd si suicida dopo essere stata bersagliata per lungo tempo da amici e compagni di scuola adolescenti a causa di alcune fotografie private: erano state rese pubbliche tramite i canali occulti che il web dimostra sempre di offrire. Si potrebbe andare avanti con molti altri esempi, diversi dei quali riferiti a fatti avvenuti in Italia.

Il bullismo e la sua variante online, infatti, sembrano essere fenomeni saldamente legati alla storia dei paesi a alto reddito, in cui statisticamente ottengono un impatto negativo su popolazioni appartenenti a un ampio intervallo di età. Secondo una relazione delle Nazioni Unite, uno studente su tre ha sperimentato questo tipo di violenza, e nel mondo succede a 246 milioni di bambini e adolescenti ogni anno. In Italia l’ISTAT ha calcolato che si verifichino vicende di bullismo maggiormente in aree disagiate, e che valga di più per le ragazze che per i ragazzi. Risulta che delle vittime di bullismo venga compromesso gravemente, anche fino all’età adulta, il benessere psico-fisico, oltre alle capacità di socializzazione e apprendimento (e quindi le prospettive educative e lavorative). Anche a un livello più ampio di collettività i costi socio-economici sono elevati, con conseguenze stabili sia per le vittime che per i responsabili delle violenze.

Ora, cosa si intende per bullismo e cyberbullismo? Essi costituiscono un insieme di comportamenti aggressivi e intenzionali contro una o un gruppo di vittime che vengono percepite per ipotesi o in realtà come deboli, indifese e vulnerabili. Gli attacchi possono essere diretti o indiretti, solitamente non provocati. Una delle modalità più crudeli in cui l’abuso è perpetrato consiste nel diffondere voci sul conto delle vittime o loro materiali grafici privati, spesso a sfondo pornografico, in modo da danneggiarne la reputazione e renderle facili prede di minacce o estorsioni.

Un’altra finalità ricercata è quella di determinare l’esclusione degli individui presi di mira dai gruppi sociali a cui appartengono. Purtroppo diffusissimo è appunto l’utilizzo del revenge porn, che prevede la distribuzione di immagini o video sessualmente espliciti, contro la volontà di un individuo. Altra espressione di cyberbullismo particolarmente grave è l’impersonation, il furto d’identità: anch’essa è finalizzata al danneggiamento della reputazione di colui a cui viene sottratta l’identità. Non si dimentichi l’harassment e la denigration, molto comuni sui social.  

L’Italia è stata il primo paese a introdurre nel 2017 una legge contro il cyberbullismo, nel cui testo si opta per un approccio al problema incentrato sulla mediazione e la sensibilizzazione. È una legge che invoca come attori del cambiamento non solo le istituzioni, bensì anche i genitori e la scuola. Il Garante per la Privacy, in collaborazione con Facebook e Instagram, ha reso accessibile sul proprio sito una risorsa di emergenza contro il revenge porn. Infatti, tutti coloro che ritengono sia stata pubblicata senza consenso una loro immagine o video intimo, possono inviare una segnalazione tramite il Garante e i colossi social distruggeranno il materiale indesiderato. Anche organizzazioni come UNICEF, Centro Nazionale contro il Bullismo, Enel Cuore Onlus e tante altre supportano la legge del 2017 e sono particolarmente attive in questo ambito.

Un insieme di attività educative sono previste, a partire dal 2017 stesso, il 7 febbraio di ogni anno: questa data corrisponde alla Giornata nazionale contro il Bullismo e il Cyberbullismo, lanciata dal Miur in occasione del Safer Internet Day internazionale, già celebrato da 140 paesi. E proprio per la natura in continua evoluzione del fenomeno di cui si è parlato, è appunto necessario domandarsi più globalmente come rendere l’Internet meno insidioso, con misure preventive oltre che di vigilanza e un costante affiancamento ai bambini dei loro genitori nella scoperta delle risorse mediatiche.

Mario Daddabbo

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