Da quando le temperature estive hanno cominciato a sfiorare quasi i 40 gradi e la siccità si sta facendo più pesante, i cambiamenti climatici sono diventati argomento di discussione giornaliero per le strade, sui social, sulle testate giornalistiche. Eppure, nessuno sembra fornirci dei dati che mostrino il nostro impatto sul clima e, di conseguenza, sulla salute del nostro pianeta. Si parla molto di energie rinnovabili, di smaltimento sostenibile dei rifiuti, di scelte più etiche e consapevoli da parte di consumatori e produttori…quando si parla di cambiare la nostra alimentazione, però, ci facciamo prendere dal panico.
E se i vegani, invece, fossero la risposta per salvare il mondo?
Secondo lo studio “Environmental Impacts of Food Production” di Hannah Ritchie e Max Roser, pubblicato a giugno 2021 sul sito Our World in Data, le nostre scelte alimentari hanno effettivamente un impatto da non sottovalutare. In effetti, emerge che l’energia, sotto forma di elettricità, calore, trasporti o processi industriali, rappresenta la maggior parte delle emissioni di gas serra, ovvero il 76%. Ma anche il sistema alimentare globale contribuisce in modo determinante alle emissioni, ed è un problema per il quale, ad oggi, non abbiamo ancora soluzioni praticabili dal punto di vista tecnologico, possiamo solo compiere scelte differenti come consumatori.
Il grafico qui riportato – basato sui dati dell’analisi di Joseph Poore e Thomas Nemecek (2018) pubblicata su Science – riassume la quota di emissioni totali degli alimenti: il cibo risulta responsabile di circa il 26% delle emissioni globali di gas serra.
Sicuramente le nostre abitudini alimentari, rispetto a molte altre fonti di emissioni di CO2, sono uno degli aspetti sul quale come individui, e come consumatori, abbiamo più controllo. Come è possibile, quindi, ridurre il nostro impatto ambientale cambiando il modo in cui mangiamo? Secondo Ritchie e Roser è fondamentale concentrarsi su cosa mangiamo e non da dove proviene ciò che mangiamo. Per quanto cercare di acquistare cibo a km0 sia un comportamento virtuoso, infatti, mangiare “local” avrebbe un impatto significativo solo se il trasporto fosse responsabile di gran parte dell’impatto finale degli alimenti e, sempre secondo il medesimo studio, per la maggior parte degli alimenti questo non è il caso.
Quindi da dove provengono le emissioni dei nostri alimenti?
Il grafico in questione mostra le emissioni di gas serra di 29 diversi prodotti alimentari. Per ognuno è possibile vedere da quale fase della catena di approvvigionamento provengono le emissioni: dall’uso del suolo, fino al trasporto e all’imballaggio. I dati raccolti provengono, nuovamente, dalla più grande analisi in tema di sistemi alimentari globali, pubblicata su Science da Joseph Poore e Thomas Nemecek (2018).
In questo confronto si considerano le emissioni totali di gas serra per chilogrammo di prodotto alimentare, non viene considerata, dunque, solamente la CO2, ma anche altre fonti di gas serra come il metano e il protossido di azoto. In generale, si rileva che gli alimenti di origine animale tendono ad avere un impatto maggiore rispetto a quelli di origine vegetale. L’agnello e il formaggio, ad esempio, emettono entrambi più di 20 chilogrammi di CO2-equivalenti per chilogrammo. Il pollame e la carne di maiale hanno un’impronta inferiore, ma comunque superiore a quella della maggior parte degli alimenti di origine vegetale, rispettivamente con 6 e 7 kg di CO2-equivalenti.
Il trasporto, come già sottolineato, contribuisce in misura ridotta alle emissioni, per la maggior parte dei prodotti alimentari, infatti, rappresenta meno del 10% dell’impatto ambientale. Anche il resto dei processi della filiera alimentare – lavorazione del cibo, trasporto, vendita al dettaglio e imballaggio – rappresentano solo una piccola quota di emissioni.
Allora qual è il modo migliore per ridurre il nostro impatto ambientale?
Lo scenario in cui diventeremo tutti vegani dall’oggi al domani è chiaramente impraticabile, non solo per la differenza di sensibilità tra ogni singolo individuo, ma anche perchè, sopratutto nei paesi in via di sviluppo, la filiera della carne è un’importante fonte sia di reddito che di nutrimento. Se abbiamo il privilegio, però, di poter fare delle scelte più sostenibili e consapevoli, è importante riconoscere che eliminare la carne dalla propria dieta potrebbe essere la soluzione migliore.
Sicuramente ci sono anche altre vie per migliorare la nostra sostenibilità alimentare, lo studio proposto, infatti, riconosce che basterebbe anche solo passare al consumo di proteine a basso impatto come pollo, uova o maiale, se proprio si volesse continuare a mangiare carne, ma quello che emerge dall’analisi di “Environmental Impacts of Food Production” è che come consumatori la differenza più grande che possiamo fare, per noi e il nostro pianeta, è mangiare più fonti proteiche di origine vegetale come tofu, noci, piselli, fagioli, etc.
Insomma, forse i vegani non saranno dei supereroi, ma sicuramente ci si avvicinano.
Chiara Saibene Falsirollo