Girl - Foto: Pixabay

Perché in Italia se ne sminuisce la gravità

“È solo un complimento”. “È un apprezzamento, non dire che non ti fa piacere!”. “Si ma non siamo tutti così, per me stai esagerando”. “Eh quanto la fai lunga, non sei contenta che ti apprezzino?”. A parte la risposta ovvia della maggior parte delle donne a tutte queste posate insinuazioni: NO, secco.

Queste sono solo alcune delle più fastidiose frasi che le donne, o anche ragazzine (per le quali diventa uno dei primi shock sociali) si sentono rivolgere quando lamentano i fischi e i commenti che le inseguono per strada. Quando lamentano la molestia verbale, perché altro non è che questo, che sono costrette a subire durante una banale passeggiata, costringendosi a volte a non rispondere per difendersi nella paura che il fischio si trasformi in un altro tipo di molestia.

Da qualche mese, complice la denuncia sui social da parte di Aurora Ramazzotti che ha ricevuto commenti sessisti mentre faceva jogging a Milano, sembra essere stata riservata una particolare attenzione al fenomeno, comunemente chiamato catcalling. Parola che non tutti conoscevano, ma pratica ben nota e che consiste in fischi, gesti, sguardi indesiderati, offese e pedinamenti rivolti alle vittime. E no, non si tratta mai di un banale “apprezzamento”, ma di violazione della persona. Pratica da sempre sminuita che anche ora, nonostante la crescente attenzione, non fa che essere minimizzata e ridicolizzata. È facile rendersene conto leggendo i commenti sui social, sempre più amplificatori di ignoranza diffusa. Non è difficile trovare ironia becera tra i tweet, soprattutto da parte di uomini, ragazzi che si sentono in diritto di sindacare, o per semplice mainsplaining. Fanno parte del problema e lo alimentano.

Cos’è il Catcalling

Il catcalling è una molestia verbale, che reiterata e impunita porta il suo crescente peso nella percezione fisica e psicologica di una donna che si sente costantemente violata, oggettificata e impaurita. Non è un fenomeno nuovo, ma sembra quasi socialmente accettato specie in Italia, dove viene così sminuito in seno al tentativo di sensibilizzazione dell’opinione pubblica.

Alcuni lamentano persino che il chiamarlo molestia sia esagerato. Alcuni deridono le donne che non saprebbero apprezzare il fischio e le parole scelte offerte da bordo strada. La sensibilità rispetto a questi temi si sta evolvendo da qualche anno, complice anche il movimento #MeToo che ha scoperchiato il vaso di Pandora del mondo dorato di Hollywood, facendo cadere qualche testa. Anche un grande movimento come il MeToo è spesso oggetto di scherno, e non solo da parte del genere maschile, ma anche dalle donne stesse. Insieme ridicolizzano o si servono del fenomeno del momento rischiando di far perdere la labile autorità acquisita in una lotta che davanti a sé ha ancora un lungo percorso di sensibilizzazione da percorrere.

Il problema di aver normalizzato le molestie nel tempo

American girl in Italy - 1951 Ruth Orkin ritrae Ninalee Craig a Firenze Foto di pubblico dominio
Moira Orfei - Foto di Mario De Biasi - Pubblico dominio, Milanoo
American girl in Italy - 1951 Ruth Orkin ritrae Ninalee Craig a Firenze Foto di pubblico dominio
Moira Orfei - Foto di Mario De Biasi - Pubblico dominio, Milanoo
previous arrow
next arrow

Non è necessario sviscerare il termine, perché tutti sanno a cosa ci si sta riferendo. Solo che aver normalizzato, reso quasi “celebre” il linguaggio del fischio per strada, parte di un corteggiamento non meglio identificato anni ’50 ha strappato il rimanente, poco, buonsenso che poteva essere sopravvissuto ad anni e anni di oggettificazione del corpo femminile, schiavo della costruzione della società maschile arcaica, arretrata e misogina che ha fatto leva sull’edonismo estremo. Non può essere usata come scusante il fatto che “prima” poteva essere considerata la prassi: basta leggere la storia della fotografia (sopra) che ritrae Ninalee Allen Craig dal titolo American girl in Italy raccontata come un’esperienza di pubblica ammirazione della bellezza, la normalità in Italia “dove i galantuomini sono più rumorosi degli uomini americani”. E ancora la donna degli anni ’50 non era nemmeno la stessa di oggi. Anno dopo anno, dopo lotte, è stato posto un tassello in difesa della libertà e del rispetto della donna.

Ogni cosa cambia, si evolve: questa è una di quelle che non ha fatto che peggiorare nel tempo, perché sdoganata e senza limiti di buonsenso. Un fenomeno a cui non può essere permesso di fondersi con la foto e i sentimenti descritti dalla fotografa Ruth Orkin, 29 anni nel 1951. È una violenza a tutti gli effetti, fatta di prevaricazione, volgarità che sta attraversando un’altra fase evolutiva, cioè esser vista e riconosciuta per quella che è. Ostacolata, ma che sta ottenendo attenzione.

Catcalling configurato come reato

Vista la crescente attenzione al tema, anche la giurisprudenza si interroga sulla rilevanza penale da riservare a questo tipo di molestie, indiscutibilmente diffuse. Secondo uno studio condotto dalla Cornell University e dal movimento Hollaback! su ventidue Paesi (tra cui l’Italia) l’84% delle donne ha subito molestie in strada (Street Harassment) prima dei 17 anni. Una sorta di “epidemia globale” secondo quanto dichiarato da Dbjani Roy, vicedirettrice di Hollaback!.

In Francia ad esempio, il catcalling è ufficialmente diventato reato dal 2018 grazie alla legge promossa dal ministro delle Pari Opportunità Marlène Schiappa: il reato è punito con multa dai 90 ai 1500 euro.

In Italia il fenomeno non è ancora considerato reato ma potrebbe accostarsi all’art. 660 del Codice Penale che disciplina la molestia o disturbo di persone, per esteso: “Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a euro 516”.

Dunque, non una normativa ad hoc nel caso in questione, per un fenomeno che limita e condiziona le donne nella loro sicurezza e libertà. Ad ora si può dire che la sensibilizzazione volta al catcalling sia gestita per lo più da associazioni o movimenti di categoria, che si occupano a tutto tondo della figura della donna e dello sdradicamento di costrutti sociali errati e limitanti che ancora sopravvivono.

Occorre continuare a lavorare su queste tematiche, fare formazione specifica. Così che non debbano essere solo le ragazze a essere “educate” sulla comprensione dell’ingiustizia del dover subire questi atteggiamenti vergognosi. Ma anche la controparte maschile. La società tutta deve essere messa nelle condizione di sviluppare un senso comune di giustizia e rispetto. In attesa che le istituzioni si muovano, si può almeno continuare a lavorare sul concetto che il catcalling non è un complimento.

Alice Cubeddu

Print Friendly, PDF & Email

One thought on “Il Catcalling non è un complimento”

Comments are closed.