Foto: Pixabay

Mansplaining. Un altro termine che è entrato nel vocabolario italiano, che permette di spiegare la tipica arroganza perpetrata nei confronti di una donna, da parte di alcuni uomini che “spiegano le cose”. Il “lascia che ti spieghi”, con fare paternalistico, semplicistico condito da aria di sufficienza: “qualcosa di ovvio, oppure qualcosa di cui lei è esperta, perché pensano di saperne sempre e comunque più di lei oppure che lei non capisca davvero” (definizione de Il Post).

Dall’unione di «man» uomo, e «splaining» derivazione del verbo explain- spiegare, il termine viene attualizzato e diffuso grazie alla penna di Rebecca Solnit che a partire da una sua esperienza diretta trae l’idea per scrivere il libro Gli uomini mi spiegano le cose. Rebecca Solnit racconta che durante un party si ritrova a parlare con un collega scrittore, raccontandogli di un progetto che sta sviluppando. Il collega la interrompe bruscamente per consigliarle la lettura di un importantissimo nuovo libro che avrebbe potuto aiutarla, senza lasciarle tempo di inserirsi nella conversazione. Se l’avesse fatto, il collega avrebbe scoperto che l’importantissimo saggio che aveva fatto presente era stato scritto proprio da lei, Rebecca.

Potrebbe essere un passaggio quasi divertente, se non fosse che questo tipo di atteggiamento non è certo isolato, ma rappresenta la punta dell’iceberg che comprende tutti quegli atteggiamenti volti a sminuire la donna. La sua diffusione viene anzi approfondita da diversi studi tra cui all’inizio di quest’anno quello di un team di ricercatori e ricercatrici dell’Università di Stanford. Lo studio (analizzato sul IlSole24ore) si è proposto di misurare quantitativamente il tempo intercorso tra l’inizio di un convegno e il primo intervento che interrompe l’oratore, suddividendo la casistica tra relatori e relatrici. È stato riscontrato che le donne vengono interrotte molto più degli uomini (6 minuti e 45 secondi prima rispetti ai colleghi) con un tipo di commento tendenzialmente più ostile.

L’atteggiamento denigratorio e paternalistico con cui molti uomini si rivolgono alle donne, non prendendo neppure in considerazione la possibilità che l’interlocutrice possa conoscere molto bene ciò di cui si parla e che necessiti invece di spiegazioni semplicistiche, viene inquadrato come un’altra forma di violenza verbale sessista. E proprio come per il catcalling, la prevaricazione è legata al fatto che non ci si aspetta una presa di posizione, un’immediata difesa della propria posizione. Nel caso del mansplaining, l’atteggiamento assunto dalla donna è di grande fastidio e disagio, che rende difficoltoso esternare una reazione immediata.

Questo perpetrarsi di atteggiamenti di superiorità, legati a dinamiche di potere radicate nella società porta con sé diversi problemi, non solo a livello strettamente personale ma anche nelle sull’ambiente di lavoro: con questo modus operandi la donna verrà sempre screditata, solo in quanto tale.

Per questo la crescente attenzione ai fenomeni come il catcalling, il mainsplaining, la molestia verbale assumono sempre più valenza nell’ottica di creare la giusta consapevolezza che sono comportamenti sbagliati e forme di violenza, a cui è legittimo reagire e che bisogna contrastare.

Un esempio nostrano di mainsplaining è l’episodio che ha visto coinvolta Valeria Parrella, il cui video in questione è ben noto: la scrittrice (unica finalista donna al concorso) al termine di un’intervista per la serata finale del Premio Strega, viene congedata dal conduttore per proseguire con un approfondimento di Corrado Augias sugli “effetti del #MeToo nella società”. “E ne vuole parlare con Augias? Auguri!” la risposta di Parrella. Questa reazione è stata applaudita sui social, dovuta al fatto che essendo presente una donna ben capace di contribuire alla discussione, non avrebbe dovuto essere esclusa dall’intervista che parlava di donne. Durante l’intervista Augias ha risposto che “è un problema che riguarda tutta la società e tutta la società ha diritto e competenza per parlarne”.

Un episodio molto noto di violenza e derisione verbale, che nel panorama attuale che vuole supportare la reazione da parte delle donne per non dover subire episodi di sessismo, è quello della deputata Alexandria Ocasio-Cortez. Nel luglio scorso ha tenuto un discorso in Congresso per rispondere agli insulti ricevuti del repubblicano Ted Yoho che sulla scalinata di Capitol Hill l’aveva chiamata «fuc***g b**ch».

La sua reazione è stata molto potente, non certo solo per via del fatto che il discorso è diventato immediatamente virale, ma perché non ha taciuto di fronte a un atteggiamento sessista e denigratorio ed ha potenzialmente aperto anzi la strada a tante altre donne che decideranno di denunciare i continui soprusi ad opera di uomini misogini e arroganti che non hanno nessun diritto a sentirsi in posizioni di potere solo in quanto appartenenti al genere maschile. Per usare le parole della stessa deputata: “Avere una figlia non rende un uomo in una ‘persona perbene’. Avere una moglie non rende un uomo in una ‘persona perbene’. Trattare le persone con dignità e rispetto rende un uomo una ‘persona perbene”.

Alice Cubeddu

Print Friendly, PDF & Email