Qual è la caratteristica del lavoro del futuro? Qual è la capacità più importante, che ti permetterà di stare a galla? Una ma molto complessa: stare in relazione. È la capacità di saper trovare contatti, creare una rete, sapere mantenerla. Il mondo è in evoluzione e i modi per farlo cambiano, perciò dobbiamo restare attenti e valutare le proprie strategie. Il terzo settore, che per tradizione è sempre stata modalità di socialità, ci dà una ispirazione importante.
Qual è la caratteristica del lavoro del futuro? Il mondo è in evoluzione ed è difficile stare dietro alle sfide del nostro tempo. Di fronte al senso di incertezza e alla limitatezza delle nostre energie, vorremmo trovare dove investire i nostri sforzi.
Di recente si sono incoraggiate qualità specifiche: la flessibilità e l’astuzia. Più che saper risolvere un problema matematico, si intende l’applicazione nella vita reale, di saper capire il proprio ambiente, per trovare i comportamenti più vantaggiosi, cioè quelli capaci di adattarvisi e di saper uscire dalla situazione senza perdite.
L’esortazione a questo tipo di mentalità, specialmente come regola per il contesto lavorativo, in realtà non è piaciuta a nessuno. Né da sentire lodata, perché sembra applaudire agli ipocriti e agli arrampicatori sociali, né da fare, perché anche quando la applichiamo e funziona, ci lascia un senso di pesantezza e non- autenticità, per cui si finisce per far fatica a sentire un senso in quello che facciamo.
Sono passati degli anni, il contesto è sempre in cambiamento, abbiamo riconosciuto i nostri bisogni. Possiamo parlare di un’altra qualità, che ha grossi effetti nel portare successo alle nostre attività e che sia in grado di farci sentire realizzati.
Si tratta della capacità di relazione. Crearne per trovarne di nuove, saperle mantenere per vedere gli effetti a lungo termine.
Di fronte ad un mondo tanto complesso, le abilità e le conoscenze di una persona sono limitate. Dal rapporto con altri si incrementa il campo di azione di ciascuno, avendo accesso a quelle di ciascuno. Così nascono nuove possibilità e diventano possibili eventi altrimenti irrealizzabili.
Si può raccontare la sua importanza da una breve e bella storia: la cicala e la formica. La favola che conosciamo da anni non a caso viene modificata, proprio perché il mondo è cambiato. È la versione di Giuseppe Morici, nel suo libro “Fare marketing restando brave persone” (qui per approfondire).
In questa versione la cicala non perisce e la formica non è più trionfante. Perché il modello da seguire non è più la formica che sta zitta e lavora sodo. Invece è la cicala che se la passa meglio: perché canta, è capace di parlare e di coinvolgere. Ce la fa perché è capace di non doversela cavare da sola, ma può contare anche sulle risorse degli altri. Per questo finisce per essere in vantaggio. Oltre all’intrattenimento sciocco del momento, a lungo andare la formica vede i risultati del suo lavoro, ma ancora più a lungo andare la cicala vede i frutti di relazioni che ha coltivato in modo adatto.
Così la storia della cicala e la formica ci fa domandare: se ai vecchi problemi si dà una risposta nuova, basata sulla capacità di fare relazione, cosa potrebbe succedere?
Che la relazione e la capacità di fare rete sia la chiave per i tempi di oggi, è stato il cardine del discorso alla presentazione-evento sul counseling di Acea, con Alessandra Caporale, Alessandra Cosso, Tommaso Valleri di Sestriano e Michele Papagna.
È tempo che il professionista esca dalle quattro mura del suo studio e trovi delle modalità per mettersi in pubblico ed in relazione, per offrire qualcosa alla comunità, per intrecciare rapporti non solo con un paziente o un cliente in modo diretto, ma ripensare alla propria professione estendendola ad un ambiente più grande. Questo implica azioni pratiche e diverse da quelle a cui si è abituati, con una dose di difficoltà aggiuntive che non si possono negare.
Il fare insieme non si applica solo al lavoro dell’individuo, ma a più professionisti, che decidono di fare rete, per aumentare affari, conoscenze, i propri diritti.
Tommaso Valleri di Sestriano, presidente di AssoCounseling, suggerisce che perfino l’ordine professionale diventi un concetto superato. Prendendo spunto dal terzo settore,il concetto di associazione invece può aiutare il campo privato. L’associazione è rivolta maggiormente alla crescita, perché naturalmente incita all’aggregazione di sempre più persone, accrescendo competenze ed opportunità. I vantaggi strategici emergono col tempo. Ma senza pensare alla strategia, agendo in modo più profondo, l’associazione invita prima di tutto alla relazione come piacere. Per contro, l’ordine finisce per preferire l’esclusività e rimanere in pochi, anche per paura che la fetta di torta da spartire diventi troppo piccola per ciascuno. Si spendono molte energie in procedure e si privilegia il senso di autorità, mentre in un’associazione si ricerca l’autorevolezza in un gruppo di pari. All’interno dell’ordine il tipo di relazione, se esiste, è di tipo diverso: si fa sempre riferimento ad una autorità e a delle regole, mentre nell’associazione dove ogni membro è sullo stesso livello si facilitano scambi ed iniziative.
Dato che il mondo diventa sempre più complesso ed esigente, ognuno preferirebbe la propria strategia. Alcuni preferiscono ancora maggior rigore e regole, ordine e divisione. Altri intravedono potenzialità nel contatto ed il rispetto sostituisce l’imposizione.
Il contatto è capace di farci recuperare anche quella sensazione di significato che abbiamo perso, nel lavoro e al di fuori.
Il fatto è che sentiamo di avere valore nel momento in cui sentiamo di dare un contributo valido alla nostra comunità e quando sentiamo di essere presenti nel mondo in modo efficace e autonomo.
Intendiamo il ritorno alla relazione come uscita dal parametro chiave della produttività e performance. Abbiamo detto che questa risulterà utile per i secondi, ma dobbiamo ricordarci di non strumentalizzarla. È proprio perché abbiamo cominciato a usare le relazioni come strumento per arrivare a degli obiettivi e come parametro per valutare il successo personale, che si è persa l’autenticità e il senso di significato.
Perciò, anche a fronte di risultati non eccezionali, nel momento in cui siamo riusciti a creare un legame con almeno un’altra persona, un minimo di soddisfazione dovrebbe essere garantito.
Il terzo settore può insegnare all’ambito privato in più sensi. Sia come valori e modello di relazione diversa, che possa motivare di più nel lungo termine. Sia in modo pratico, per offrire forme di attività utili anche in campo privato.
In questo ambito, può sopperire anche alle mancanze dello Stato pubblico o fare da anello di collegamento (per approfondire, vedi anche i nostri articoli sul ruolo del terzo settore e sui dati di occupazione del terzo settore).
In conclusione, la pratica della relazione come chiave di lettura e come strategia di lavoro può aprirci delle prospettive alternative, generando delle possibilità impreviste.
Articolo scritto da Gemma Domenella