A Roma, evidentemente, non si ha meglio da fare. Ovvero, i giornalisti delle cronache locali, sono in grado di occupare intere pagine romane delle disavventure dell’Albero di Natale montato a piazza Venezia.

Chi abita, come me, nel quadrante sud della città, andando nei negozi, nei bar e nei locali di Tor Pignattara, del Quadraro, e finanche di Centocelle, ha ascoltato migliaia di coattoni tatuati parlare dell’albero di Natale di piazza Venezia, che effettivamente erano molto interessati all’argomento. Non c’è lavoro, e se c’è è precario, non si arriva alla fine del mese, e i quartieri dopo le nove di sera diventano come Beirut durante la guerra civile, ma per la cronaca romana nei bar i coatti tatuati parlavano dell’Albero di Natale.

Oltre al fatto che non si capisce per quale motivo si continui ogni anno ad uccidere un albero. Come è noto, tutti gli alberi di Natale, che per la precisione sono degli abeti rossi, anche i più rigogliosi e belli, sono destinati a morire dopo circa 2 mesi. E questo vale per tutti. Il comune di Milano ci ha fatto sapere che con quello dell’altro anno sono state costruite 60 panchine. Il primo passo intanto, sarebbe che tutti i comuni facciano sapere cosa succede all’albero una volta rimosso. Non è possibile ripiantarli, poiché l’intervento sulle radici che viene effettuato per facilitare il trasporto e la dimora in vaso, poi non permetterà alla pianta di sopravvivere. Non sarebbe ora di finirla con questo inutile taglio di alberi?

L’Albero di Natale di Roma di questo anno, soprannominato Spelacchio, a nome del quale è stato aperto anche uno spiritoso e godibile account twitter ( @spelacchio ), è il classico esempio di corto circuito mediatico. I giornali, hanno continuamente rilanciato una notizia che non era una notizia, riempendola di contenuti sociologici da Bignami, enfatizzando il paragone per il quale la sciatteria dell’albero è il simbolo della sciatteria del governo della città. Quindi, se l’albero fosse stato bello e rigoglioso e con delle belle decorazioni, questo sarebbe stato indice di una città che funziona, dove sono tutti belli, pettinati e con i denti lavati?

Ma non potrebbe essere questa, finalmente, l’occasione per attuare una seria riflessione su quale sarebbe la scelta più ecologicamente corretta? Perché invece di spendere ogni anno decine di migliaia di euro per prendere un albero in Trentino, destinato poi a marcire, non se ne impianta direttamente uno nella grande aiuola di piazza Venezia? Il sindaco Alemanno, durante dei lavori sulla piazza, fece tagliare dei bellissimi pini. Sappiamo che i pini sono pericolosi, poiché possono cedere improvvisamente, ma perché non piantare al centro della piazza una quercia o un ulivo? Col passare del tempo, quegli alberi diventerebbero dei punti di riferimento, verrebbero vissuti dalle persone, e, inevitabilmente, diventerebbero degli alberi di Natale, magari meno perfetti e filanti degli abeti, ma più condivisi. E sarebbe anche l’indicazione di un concetto importante: in natura nulla è perfetto, e spesso sono le imperfezioni a rendere le cose più interessanti. E poi sarebbe illustrato il concetto di biodiversità e di locale. Ogni comune pianti un albero che abbia un senso nella propria cultura e il cui trasporto non debba contribuire al peggioramento delle condizioni ambientali. La sfida a presentare l’albero più bello, più decorato, più alto, è, come direbbe uno dei coatti dei bar di Torpignattara, come la gara a chi la fa più lontano. Ma noi, che siamo più intellettuali, ricordiamo quanto scriveva Alex Langer quando ai concetti di “più alto, più forte, più veloce”, contrapponeva quelli di “più lento, più profondo, più dolce.”

Nei giardinetti dell’Acquedotto Alessandrino è sbucato un piccolo albero di Natale, un po’ malmesso, ma molto più vissuto dagli abitanti del quartiere; e sotto gli archi dell’acquedotto è spuntato un piccolo presepe, semplice ma rimasto intatto da atti vandalici.

Ma se proprio non si vogliono piantare alberi, perché non costruirli in legno riciclato, e poi riutilizzarli ogni anno? Ci sono decine di esempi, di bellissimi alberi costruiti con i pallets inutilizzati. Ad esempio perché non seguire l’esempio di Torino, che nella sua piazza Castello ha presentato questo albero?

Affinché Spelacchio, che è stato sradicato dal suo bosco per finire ingloriosamente piantato in un vaso di plastica (e anche su questo ci sarebbe molto da ridire) al centro di una città per lui estranea, non abbia inutilmente perso i suoi aghi, pensiamo a piantarli gli alberi, non a tagliarli.

(foto slide di apertura: “Spelacchio” a Roma in Piazza Venezia, foto in fondo all’articolo: albero di Natale a Torino in Piazza Castello)

 

Francesco Castracane

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