Gli ezidi e l’autonomia democratica di Sengal

Del popolo ezida abbiamo cominciato a sentir parlare nell’agosto del 2014, quando gli uomini dello stato islamico, dopo aver sbaragliato l’esercito iracheno, per consolidare il territorio del Califfato sino alla Siria, attaccano il distretto di Sengal da più fronti. Dall’est, da Mosul, da Rabia e, dopo aver infiltrato cellule invisibili, dal cuore stesso di quella regione popolata dai curdi-ezidi; hanno un’unica consegna, sterminarli.

Anche se gli ezidi si trovano dentro i confini di uno stato, quello iracheno, che ha un esercito non c’è nessuno a difenderli. Dal 2003, con l’invasione e l’occupazione anglo-statunitense dell’Iraq, la fine di Saddam Hussein e il collasso dello stato, il distretto di Sengal è passato sotto la tutela del Krg (Governo regionale del Kurdistan) governato dal Kdp (Partito democratico del Kurdistan) di Masaud Barzani e dei suoi peshmerga che si sono assunti la responsabilità di difenderli. E invece, di fronde alle orde di Daesh sono scappati, non senza prima aver disarmato la popolazione ezida!

Non c’è nulla che quel popolo possa fare per difendersi se non scappare dal deserto (dove erano stati costretti a trasferirsi nel 1975 quando Saddam aveva fatto distruggere i loro villaggi di montagna) per raggiungere la Montagna che svetta “sola” nella riarsa pianura di Ninive, la terra dei loro avi.

In quel luogo ancestrale, pieno di grotte e sentieri impervi possono tentare una difesa. I morti sono innumerevoli, migliaia le donne rapite e vendute come schiave o usate come oggetti da violare, migliaia i bambini sottratti alle loro famiglie per essere trasformarti in piccoli mostri disperati. “C’era un vento di persone che soffiava verso la montagna”, il testimone racconta così la fuga caotica e disperata di migliaia e migliaia di esseri umani, un intero popolo, verso il Monte Sengal. Dietro di sé lasciano case, campi e una lunga scia di morti. I duecentocinquantamila che ci arriveranno rimarranno per otto giorni senza cibo e senza acqua sotto il sole torrido dell’agosto iracheno. Di questo e di molto altro ancora racconta “La montagna sola. Gli ezidi e l’autonomia democratica di Sengal” scritto a due mani dalla giornalista Chiara Cruciati e dalla mediatrice culturale e interprete Rojbin Beritan (Edizioni Alegre, pag.222, euro 16) con la bella copertina di Zerocalcare, capace di raccontare in una sola tavola l’intera parabola della millenaria storia del popolo dell’Angelo Pavone.

Chiara Cruciati

Un libro denso, difficile, importante che svela la cultura di un popolo misterioso figlio di un angelo ribelle, Tawusè Melek, l’angelo pavone. Gli ezidi parlano Kurmanji, la lingua dei curdi, hanno due libri sacri scritti in arabo ma la loro tradizione più profonda e segreta non è scritta, ricostruire la loro cultura millenaria è dunque un atto paziente di ascolto, di presenza, di fiducia. Una importante risorsa per la conoscenza del loro credo sono i qwel, massime che regolano la loro vita quotidiana, e i miti che risalgono al tempo delle dee del neolitico mesopotamico. La loro storia è scandita dai massacri, i ferman, ben settantaquattro ripetutesi nel corso dei millenni per la loro indomabile resistenza a qualunque potere centrale, una epopea tragica trasmessa nei canti. Una società rigidamente clanica, endogamica e fino all’ultimo ferman, quello del 2014, chiusa in se stessa per resistere all’assimilazione forzata, che crede nella reincarnazione e affida i propri desideri a nastri colorati appesi ai rami spogli di un albero.

Un popolo quasi rassegnato ma capace di raccontare se stesso, nel testo il discorso diretto delle molte interviste è sempre in corsivo, usando un linguaggio immaginifico che ha la forza della poesia. Un popolo perseguitato e ribelle che nei secoli si è sempre rifiutato di pagare le tasse allo stato centrale, attaccato al proprio territorio ma insofferenti ai confini. Un popolo della montagna, che alleva pecore, coltiva il necessario con la propensione al contrabbando. Uno di quei tanti popoli che gli stati nati dal colonialismo e dall’imperialismo non possono tollerare, destinati quindi o a perdere la loro identità o all’esilio e al genocidio. Ma che in pochi anni, dopo quel fatale 2014, ha saputo costruire il proprio autogoverno e praticare il Confederalismo democratico e una rivoluzione delle donne simile a quella del Rojava. Hanno imparato in fretta perché l’autogoverno era già inscritto nella loro tradizione e per farla risorgere è bastata la scintilla lanciata dei loro fratelli curdi del Rojava. Gli unici che in quell’agosto di sangue del 2014, mentre l’occidente, Usa e Europa in testa, terrorizzati dall’audacia di Daesh e della sua avanzata apparentemente inarrestabile denunciavano commossi ma senza muovere un dito in loro difesa, si sono alzati in difesa degli ezidi e hanno aperto con le armi, perché non c’era altro modo, un corridoio verso il Rojava. L’unica via di fuga e di salvezza che gli è stata offerta. E’ stato allora che l’Europa e il mondo ha scoperto gli ezidi, e anche i combattenti delle formazioni curde Ypg e Ypj, uomini e donne dei corpi dei autodifesa, e li ha osannati, i giornali sfoggiavano fotografie di belle ragazze in armi per poi dimenticarle oggi che ha altri interessi. Che importa a questa Europa opportunista e vile delle ambizioni imperialiste della Turchia anche in quell’aria del mondo. Che importa oggi all’Europa se la Turchia bombarda il Rojava e quella nuova vita che gli ezidi del Sengal si sono voluti regalare scoprendosi fratelli di chi li ha salvati. Perché oggi in Sengal si sta costruendo un sogno che nasce dal basso, una rivoluzione che vede le donne in prima fila. Non per prendere il potere ma per condividerlo tra etnie, culture, religioni, fazioni politiche diverse a ritrovarsi a discutere e proporre in un simbolico cerchio, dove tutti hanno diritto al rispetto e alla parola. Hanno contro i potenti delle terra, a cominciare da chi comanda gli Stati uniti d’America e la Russia, per non parlare dell’Iran e della Turchia e di questa Europa cieca e masochista al servizio di una Nato che dai tempi della caduta del muro di Berlino la usa come mercato e come campo di battaglia per soddisfare l’ingordigia del grande Moloch imperialista che tutto livella e divora, pianeta compreso.

L’iraq dopo in 2003 è un paese con un governo centrale traballante punteggiato da bande più o meno armate con rivendicazioni contrapposte che, secondo le previsioni costituzionali, avrebbero dovuto essere regolate da un referendum che non c’è mai fatto e che mai si farà. Tra questi gli ezidi che dicono, “Noi siamo qui da sempre e nonostante questo non accettano la nostra esistenza. Non siamo separatisti difendiamo solo il nostro diritto a essere liberi” e propongono l’Autogoverno e l’Autodifesa dell’Amministrazione autonoma del Sengal, la sua natura multidentitaria con alla base “il paradigma del Confederalismo democratico sorto all’interno del processo di teorizzazione ideologica del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), una forma di democrazia popolare teorizzata per la prima volta da Abdullah Ocalan nel 2005: un modello di convivenza sociale inclusivo basato sull’autorganizzazione dal basso nel rispetto della pluralità etnica, culturale, religiosa e sulla relazione dialettica sostenibile con la natura, che elimini dall’equazione dominio e gerarchie”. Ma non è solo Daesh il nemico, in quell’area i giocatori sono molti e potenti: c’è il nazionalismo curdo filoccidentale di Barzani in stretta alleanza con Israele di cui è alleato strategico, le milizie sciite filoiraniane, la Nato che vuole colpire l’Iran e il Pkk, la Russia che manda elicotteri a sorvolare i confini, la Turchia che vuole distruggere il PKK e ha mire espansionistiche su tutta la regione, Il traballante governo centrale iracheno che cerca di sopravvivere, la coalizione sunnita con legami con i Fratelli mussulmani, gli ex colonnelli di Saddam, il partito Baath o Daesh, la Nato che sobilla tutte le parti in causa e armi, armi, armi. Nel bel mezzo di quel bailamme, gli ezidi ”una popolazione prima chiusa al modo esterno, conservatrice e legata alle proprie pratiche quotidiane quasi come un feticcio simbolo di una cultura minacciata dalla scomparsa”, che dal 2014 si è data una nuova consapevolezza politica e “ha saputo costruire una forma di autogestione del proprio territorio secondo un paradigma estremamente moderno e allo stesso tempo adattabile alle peculiari e antiche caratteristiche dei popoli mediorientali, perché è da lì che trae origine e ispirazione”. Un popolo che in molti, in primis il turco Erdogan e il premier del Krg Masrour Barzani, vorrebbero far dimenticare per portarne a termine il genocidio e distruggere il confederalismo democratico basato sulla rivoluzione delle donne e sull’autogoverno dei popoli che fa paura ai dittatori.

In questo libro c’è tutto questo e molto altro ancora, comprarlo, leggerlo, regalarlo è un atto di resistenza.

dalla recensione di Rossella Simone

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Associazione Culturale Punto Rosso, Fonti di Pace ODV

con l’adesione di Rete Jin, Acea ODV, AltroPallone

organizzano la presentazione del libro

LA MONTAGNA SOLA. GLI EZIDI E L’AUTONOMIA DEMOCRATICA DI ŜENGAL – Edizioni Alegre 2022 MILANO

MERCOLEDI 14 DICEMBRE 2022 ORE 21 CASA DELLA CULTURA VIA BORGOGNA 3, MILANO

Partecipano:

CHIARA CRUCIATI (autrice e giornalista del Manifesto)

ROJBÎN BERÎTAN (autrice)

ROSELLA SIMONE (Fonti di Pace)

VALENTINA RAMANAND (Rete Jin)

Coordinano: Eleonora Bonaccorsi e Silvana Barbieri

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