“Le donne nascono con il dolore dentro di sé. È il nostro destino: dolori mestruali, tette gonfie, il parto. Capisci? Siamo destinate a sentire il dolore per tutta la vita. Gli uomini no, devono cercarselo. Così inventano ogni genere di demone per sentire i sensi di colpa. Cosa che a noi invece viene del tutto naturale. Creano le guerre per poter provare qualcosa e quando non ci sono le guerre c’è il rugby. Invece noi sentiamo tutto quanto qui, dentro di noi.”
Ci racconta cosí il destino delle donne Belinda, personaggio del terzo episodio della seconda stagione di Fleabag, destino che, fino a che non mi è stato sbattuto letteralmente in faccia dallo schermo del televisore, non mi era mai apparso cosí netto. In quanto donna della generazione millenial, ho sempre subito le narrazioni del femminile raccontate da uomini o, similarmente, da donne spaventate dall’etichettarsi femministe che ci raccontavano che “boys will be boys” (i maschi saranno maschi), giustificando cosí ogni disparità, ogni violenza. Poi sono arrivati i social e le serie tv e si è aperta una nuova finestra: parlare del dolore femminile, della violenza di genere e, di conseguenza, del femminicido in maniera corretta e schietta è possibile ed è doveroso farlo. Da questi nuovi mezzi ho compreso che è necessario prevenire, educare, comunicare in modo rispettoso e informativo, sicuramente, ma è necessario anche trovare una risoluzione, perchè il problema della violenza contro le donne, cis o trans esse siano, è giornaliero e definisce il mondo in cui viviamo, la cultura che respiriamo creando l’eredità che lasceremo alle nuove generazioni.
Ma se nemmeno davanti a genocidi, conflitti contemporanei, crisi climatiche ed idriche, che ci chiedono una risposta immediata, riusciamo ad intervenire, come possiamo trovare una soluzione per una guerra che dura da migliaia di anni, uccide nelle strade e soprattutto nelle case? Per questo la citazione di Fleabag è l’incipit di quest’analisi: lo sterminio delle donne in quanto tali, è, a ben vedere, la fonte delle guerre, di guerre portate avanti da uomini indisposti al confronto, al dialogo, all’accetazione dell’altro e, dunque, della donna.
Nel 2021 in Italia tra le vittime di violenza, su 295 omicidi volontari registrati, come analizza il Primo Presidente della Corte di Cassazione Curzio “[…]118 sono donne, di cui 102 assassinate in ambito familiare/affettivo ed in particolare 70 per mano del partner o ex partner”. Il Primo Presidente osserva “un preoccupante incremento dei reati all’interno della famiglia ed è sintomo evidente di una tensione irrisolta nei rapporti di genere, di un’uguaglianza non metabolizzata: anche su questo tema vi è un forte impegno dello Stato a cominciare dal Parlamento, impegno che richiede agli inquirenti attenzione e reattività, cui deve seguire severità in sede di applicazione della legge. Ma la risposta repressiva non può raggiungere le cause di un malessere profondo che la società deve affrontare in una dimensione più ampia, a cominciare dai luoghi di formazione della personalità”. (1)
Ora queste parole e questi dati non servono per convincervi che stiamo assistendo realmente ad un’acutizzazione delle disuguaglianze di genere, perchè se ancora davanti alle notizie, ai dati, alla quotidianità, non vedete e non cogliete che viviamo all’interno di un sistema patriarcale il problema siete voi, ma servono principalmente per introdurvi alla domanda, che già fa da premessa a questo articolo, che mi sono posta davanti alle ultime parole che vi ho riportato di Pietro Curzio…davvero possiamo solamente prevenire educando i più giovani? Davvero non possiamo fare di più per le donne che rischiano di diventare nuove vittime di violenza di genere?
Vediamo insieme cosa succede dopo che una donna decide di sporgere denuncia per violenza domestica, ad esempio, e necessiti dunque di un sistema di tutela che possa proteggerla dal suo aggressore. Se i due soggetti sono conviventi, l’autorità giudiziaria ricorre alle misure di allontanamento, altrimenti si operano misure di divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima. Tutte queste operazioni, però, non solo vengono disposte dal giudice solo se ritiene che ricorrano i presupposti previsti per legge, ma non potrà comunque intervenire a meno che l’applicazione di tali misure non venga formalmente richiesta dal Pubblico Ministero. Cosa significa nella pratica? Che in fase di denuncia, la vittima, dovrà convincere il PM ad avanzare la richiesta al giudice allegando tutto ciò che sia ritenuto necessario per dimostrare che la violenza subita non si tratti di un caso isolato. Insomma, parliamo di un percorso che necessita di determinate tempistiche, di una certa conoscenza della legge o, comunque, di avere la possibilità di affidarsi a dei legali competenti in materia. (2)
E se non avessi i mezzi o le forze per denunciare? Ci sono i Centri Antiviolenza, luoghi dove le vittime di violenza vengono accolte e aiutate attraverso diversi percorsi di tutela. Uno fra tutti quello dell’ospitilità all’interno di Case Rifugio: luoghi sicuri dall’indirizzo segreto per permettere a chi ci andrà ad abitare, previe consulenze e colloqui, di poter condurre una vita “normale” per un determinato periodo di tempo, magari mentre aspetta che le autorità intervengano in via efficace, magari il tempo per poter ricostruire un vita per sè, e spesso per i propri figli, altrove. (3)
Salta subito all’occhio la complessità, e soprattutto la lentezza, degli iter e delle procedure rivolte all’aiuto e alla tutela delle vittime di violenza. Il tempo che intercorre tra la denuncia e le misure di tutela, da un lato, e tra i colloqui con i centri antiviolenza e l’assegnazione di un posto in una casa rifugio (sempre che questo sia disponibile), dall’altro, sono tempistiche “morte” letteralmente: molte donne rischiano la propria vita durante quest’attesa.
Cosa fare allora per sostenere una rete valida che necessita, però, chiaramente di essere ampliata?
È evidente cosa manca: la creazione di luoghi sicuri e sparsi sul territorio dove le donne possano rifugiarsi e venire accolte temporaneamente a prescindere da ogni requisito e situazione, in attesa che si svolgano i colloqui con i CAV, potendo essere accompagnate a sporgere denuncia in sicurezza, da volontari e/o operatori, potendo farsi seguire e proteggere per tutto il tempo necessario ad avviare le indagini, le pratiche per le misure cautelari, il trasferimento in un luogo segreto. È altrettanto evidente che questa responsabilità non può essere lasciata sulle spalle dei Centri Antiviolenza o di un singolo giudice, servono interventi statali, privati, ma anche da parte di realtà del terzo settore. Serve sentire questa nostra realtà come un’emergenza effettiva, reale, alla stregua di un’emergenza umanitaria che in modo impetuoso ci chiede di essere presa in causa, studiata, risolta. Non basta correggere i titoli di giornale fuorvianti sul femminicidio, non basta educare le nuove generazione alla parità di genere, non basta intervenire se una nostra conoscente è vittima di violenza e non basta indicare il dito verso la strada della denuncia. Dobbiamo e possiamo fare di più come società, come esseri umani, prendendoci cura l’uno dell’altra e sopratutto dobbiamo iniziare a dare le giuste responsabilità al genere maschile: “boys will not be boys, they will be held accountable for their actions”.
Numeri e link utili:
1522 – numero verde contro gratuito e attivo 24 h su 24 che accoglie con operatrici specializzate le richieste di aiuto e sostegno delle vittime di violenza e stalking.
La mappa dei centri antiviolenza in Italia – la suddivisione è fatta per regioni e per provincie.
Fonti:
(1) “In Italia è allarme femminicidi, su 295 omicidi 118 sono donne“, articolo di Simona Olleni, pubblicato su AGI, Agenzia Italia, il 21 gennaio 2022
(2) “Cosa succede dopo che si denuncia una violenza?”, articolo di Mariano Acquaviva, pubblicato su La Legge Per Tutti, informazione e consulenza legale, il 30 Settembre 2021.
(3) Per approfondire: “Centri antiviolenza e case di rifugio: requisiti minimi.” pubblicato su Mondo Diritto, rivista scientifica di informazione giuridica, il 23 giugno 2022.
Chiara Saibene Falsirollo