A 10 anni esatti dal referendum su acqua, servizi pubblici e nucleare, che si tenne il 12 e 13 giugno 2011 e in cui 26 milioni di italiani votarono affinché non si potesse più trarre profitto, ecco che si scende di nuovo in piazza a discutere del tema della privatizzazione dell’acqua e non solo.
Venerdì 11 giugno a partire dalle ore 15, in piazza Oberdan a Milano, il Comitato milanese acqua pubblica organizza un presidio per discutere di acqua pubblica, energia, sanità, scuola, trasporti insieme a associazioni, comitati, movimenti, artisti e musicisti.
Un tema che dopo 10 anni, piegato da espressione democratica viene ancora messo a rischio per dare risposta agli interessi economici di pochi. 10 anni in cui la volontà popolare si è espressa, ma che è stata disattesa. E non solo il contrasto alla privatizzazione di un bene comune, innegabile: il bene vitale, che tiene in vita l’essere umano, quindi irrinunciabile e il diritto fra tutti per antonomasia. Del resto l’acqua è chiamata “oro blu” – risorsa basilare e prioritaria – ma se ne perde di vista il reale significato, ovvero: non ridurla a mera merce, come l’oro.
La discussione relativa alla privatizzazione, in un 2020 scosso su tutti i livelli, da quello sociale a quello economico non si è limitata al più prezioso bene comune ma ha toccato anche, di nuovo, il tema della sanità pubblica. Il Sistema Sanitario Nazionale, presente in Italia e che non bisogna dare per scontato, è parso più che mai essenziale ed inviolabile, ma minacciato dalle difficoltà incontrate durante la pandemia, in cui si è effettivamente fatto molto ricorso al privata, creando uno sbilanciamento che andava a minare il settore pubblico.
Le difficoltà emerse continuano a creare discussioni che fungono da appiglio a corpose discussioni in merito alla privatizzazione di cui infatti, mai come in questi mesi si è tornato a parlare: mettendo a repentaglio la direzione intrapresa, e scavando invece alla ricerca di nuove frontiere speculative.
Nel dicembre 2020 infatti l’azienda statunitense CME Group ha creato e lanciato il primo contratto future collegato ai prezzi dei diritti sull’acqua in California. Gli investitori possono cioè scommettere sul prezzo futuro di un dato bene, in questo caso dell’acqua. Al pari di oro e petrolio. L’acqua insomma, da bene primario passa a pura merce, un banale elemento di finanza. Salvo il fatto che non ci sia nessuna banalità nel privatizzare l’acqua andando a minare l’accessibilità alla stessa, e di fatto rischiando la marginalizzazione di molte fasce della popolazione mondiale.
Su questa scia di privatizzazione si muove anche il PNRR – Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, l’atteso Recovery Plan del governo Draghi. Il PNRR evidenzia una grande spinta al fenomeno, in particolare relativamente al settore idrico che spinge all’obbligo di privatizzazione il sud Italia posto come “adeguamento alla disciplina nazionale ed europea”, così che la nascita di nuovi gestori industriali aiuti a ridurre il “divario esistente (water service divide) tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno”.
Una risposta all’emergenza con una visione privatistica volta ancora una volta al profitto, unica panacea contro ogni male. Ciò che resta è la perdita di vista del bene comune. Per questo dopo 10 anni non può considerarsi una battaglia conclusa, ma si affaccia la necessità di rinnovare la discussione in merito affinché sotto il peso del profitto non periscano i diritti basilari, nè la democrazia.
Alice Cubeddu