Da grande appassionata dei romanzi di Jane Austen, principalmente del fascino dei suoi personaggi femminili, non potevo non dare una chance alla visione di “Persuasione”, adattamento Netflix di uno dei racconti dell’autrice. Non mi aspettavo certo di trovarmi davanti a un nuovo capolavoro scenico e musicale come il “Pride and Prejudice” di Joe Wright con Keira Knightley, ne di commuovermi come davanti alla nuova versione filmografica di “Piccole Donne” della regista Greta Gerwig con un cast eccezionale, ma non mi aspettavo nemmeno di trovarmi di fronte a una versione breve di “Bridgerton” che ero riuscita a schivare sino ad’ora. 

Per chi non conoscesse la trama di Persuasion vi basti sapere che è una storia d’amore che racconta le vicende di Anne Elliot, ragazza quasi rassegnatasi a diventare zitella fino a che, otto anni dopo essere stata spinta dalla famiglia a rompere il fidanzamento con tale Frederick Wentworth, questo non torna improvvisamente nella vita della ragazza. Sí, è chiaramente una di quelle storie a lieto fine. Ovviamente la trama non ci dona particolari colpi di scena da poter rendere particolarmente avvincente la visione, ma nemmeno gli attori e le scelte sceniche aiutano a rendere il tutto più interessante. 

Anne, interpretata da Dakota Johnson, ci convince poco con le sue pettinature contemporanee e il suo continuo ammicamento al pubblico avvalendosi della rottura della quarta parete e l’utilizzo di termini particolarmente moderni. Anche il resto del cast cade in quest’ultimo tranello: le battute non sembrano essere prese dalle pagine del romanzo, il che è anche capibile, ma la modernizzazione appare eccessiva sia nel parlato sia nelle dinamiche delle relazioni interpersonali tra i personaggi, riportandoci poco e nulla al periodo storico di riferimento, se non, forse, per i costumi di scena. 

Ci si chiede se sia la scelta dell’attrice, nota per aver dato vita al personaggio di Ana in Cinquanta Sfumature di Grigio, che il resto delle decisioni prese in questa produzione, non avessero come obiettivo quello di avvicinare la Generazione Z al mondo dei grandi classici cavalcando il format di successo di Bridgerton. Dalle recensioni trovate in giro sul web, però, mi sento di dire di non essere la sola a trovarlo un esperimento fallito. Non solo “Persuasione” non convince, ma non persuade nemmeno a credere che le nuove generazioni abbiano davvero la necessità di versioni iper-modernizzate e scadenti di un qualsivoglia prodotto e libro per poterlo aprezzare. 

Insomma possiamo rendere la storia  e i grandi classici interessanti senza doverli svalutare, basti vedere i primi esempi citati. Sarà quindi, davvero, un problema di sottovalutazione della Gen Z o si tratta forse di una nuova tendenza di Netflix di appiattire ad uno standard unico le proprie produzioni? Solo il tempo saprà rispondere. 

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