“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”: così recita l’Articolo 32 della Costituzione italiana. Un diritto garantito attraverso il Sistema Sanitario Nazionale (SSN), istituito con la Legge 833/78, fruibile da tutti i cittadini e per lo più in forma gratuita. È il governo a stabilire il numero minimo di prestazioni garantite, un mix tra prestazioni pubbliche e private (gestite cioè da privati per conto del SSN).
Più precisamente, come riportato nell’VIII Rapporto RBM- Censis sulla Sanità Pubblica, Privata ed Intermediata: “Il 40% dei servizi sanitari sono affidati a strutture private che ne erogano il 16% in convenzione SSN e il 24% in regime di pura solvenza. Le regioni nelle quali il privato fornisce un contributo più significativo (>40%) alla produzione dei servizi sanitari sono quelle del nord (con l’esclusione del trentino Alto Adige e della Valle d’Aosta) ed il Lazio. Le regioni nelle quali il contributo del privato è più contenuto (<33%) sono la Sardegna, la Provincia Autonoma di Bolzano e l’Umbria”.
La tendenza alla privatizzazione
Dati alla mano, se già la tendenza alla privatizzazione, o al ricorrere all’assistenza sanitaria integrativa si presentava come una necessità per sopperire alle debolezze del SSN, mai come quest’ultimo anno la sanità pubblica è stata messa in ginocchio. Il Sistema posto in estrema difficoltà dall’emergenza sanitaria mondiale più grande degli ultimi cento anni ha ampliato le già note criticità nel garantire assistenza a tutti i cittadini in tempi pre-pandemia. Con l’emergenza sanitaria, la sanità pubblica si è ritrovata quasi interamente sulle proprie spalle la gestione emergenziale, coinvolgendo il privato a discrezione delle singole regioni (Riforma Costituzionale del Titolo V°, che assegna alle Regioni la competenza legislativa su organizzazione, gestione e finanziamento del sistema sanitario).
Le problematiche note che creano uno sbilanciamento penalizzando il pubblico a favore del privato partono dalle più banali infinite liste d’attesa per accedere alle visite specialistiche, legate alla necessità di accedere più rapidamente a controlli diagnostici necessari: attesa eccessiva, posti non disponibili portano inevitabilmente a rivolgersi a strutture private, o a rinunciare all’assistenza. Problematiche che permettono di rendersi conto quanto occorra un rifinanziamento del Sistema Sanitario Nazionale. Accanto a ciò la necessità di allontanarsi dal trend intrapreso fortemente legato al profitto. Dunque un diritto di tutti che rischia di diventare per pochi.
L’evidenza del problema è resa dai dati riportati nel IX Rapporto Censis del 2019 in cui già “quasi 1 italiano su 2 (il 44% della popolazione), a prescindere dal proprio reddito, si è “rassegnato” a pagare personalmente di tasca propria per ottenere una prestazione sanitaria senza neanche provare a prenotarla attraverso il SSN”. La sanità privata si impone sempre più a gamba tesa nel nostro paese, più per una reale necessità da parte del cittadino che richiede assistenza.
Diritto alla cura, il paziente-cliente
Come sta accadendo per i vaccini, per cui sono in corso manifestazioni e campagne (NoProfitonPandemic a livello europeo), per rimarcare che tutti hanno diritto alla protezione da Covid-19, anche la sensazione di essere costretti a rivolgersi preferibilmente alla sanità privata per accedere in tempi brevi a un bisogno sanitario, crea la convinzione che il diritto alla cura sia un’ipotesi volta al miglior offerente.
Si oltrepassa facilmente la linea sottile per cui il paziente diventa sempre più un cliente. Una tendenza sempre più marcata, cui si è arrivati nel corso degli ultimi anni anche a causa degli ingenti tagli alla sanità pubblica, con tutte le conseguenze che un minore sostegno economico provoca. Con il terribile scossone dato dalla pandemia, che ha toccato sanità, società ed economie, la consapevolezza di aver assoluto bisogno di una sanità pubblica forte e compatta, che necessita di importanti rifinanziamenti dovrebbe apparire lapalissiano, e invertire la tendenza di ricorrere al privato.
Ad accorgersi della necessità di una saluta pubblica quale bene comune è anche la Cina, che dal 2016 ha messo in atto il progetto Healthy China 2030 tra i cui obiettivi vi è anche quello di porre in primo piano anche l’assistenza sanitaria.
In Italia, il ministro della salute Roberto Speranza nell’Atto d’indirizzo 2021 del Ministero parla delle priorità in agenda: “occorrerà impegnarsi nella valorizzazione del capitale umano attraverso l’adozione di interventi che, in coerenza con i fabbisogni, favoriscano l’incremento del personale sanitario, anche a livello di assistenza territoriale, potenziando la formazione medico-specialistica e valorizzando gli specializzandi all’interno delle reti assistenziali”.
La sveglia per Governo e cittadini
Sembrerebbe che la direzione intrapresa nel “pre” pandemia abbia invertito la tendenza che correva verso la privatizzazione, portando alla luce ciò di cui sia i cittadini, rassegnati nel rivolgersi a strutture esterne al SSN, sia il governo con sempre più ingenti e pericolosi tagli alla sanità, non sembravano vedere in un’ottica generale, come invece sono stati costretti a fare adesso.
Un’emergenza di questa portata spinge sempre a riflettere sulla concretezza delle azioni del governo e spinge i cittadini a risvegliarsi nel pretendere garantito un diritto come quello alla salute, peraltro sancito dalla costituzione. Da qui in poi, si attende che la concretizzazione del recovery plan si intenda anche come una grande opportunità per risollevare le sorti del Sistema Sanitario Nazionale italiano.
Alice Cubeddu
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