Quest’anno si celebra il 50° anniversario del Sessantotto, fenomeno socio-culturale sviluppatosi a cavallo degli anni Sessanta/Settanta, dapprima negli Stati Uniti d’America e poi in molti Paesi del Mondo, con protagonisti operai, studenti e movimenti eterogenei che hanno dato origine alla cosiddetta controcultura, ossia l’insieme di quei valori e comportamenti (mentalità e costume) opposti al paradigma dominante della società capitalista, a cui si opponevano adottando l’arma della contestazione.

La guerra del Vietnam; i diritti dei neri, delle donne e della comunità LGBT+; la lotta al capitalismo e la critica alla società dei consumi (con la nascita dei primi movimenti ambientalisti e animalisti) sono solo alcuni dei temi d’interesse della protesta, la quale però assunse diverse fisionomie a seconda del Paese interessato. La Francia, ad esempio, si è caratterizzata per la violenza con cui esplose la ribellione e la durata relativamente breve con cui si concluse (maggio francese). La violenza, comunque, non fu sempre utilizzata come principale strumento di contestazione. È il caso dell’ex Cecoslovacchia, dove si rispose all’occupazione sovietica facendo uso della resistenza passiva (Primavera di Praga), mentre in altri Paesi lo scontro diretto con le forze dell’ordine sembrò l’unica strada possibile.

Il Sessantotto nasce in un contesto operaio e, ancor più, studentesco. Il mondo accademico degli anni Sessanta, infatti, era caratterizzato da tensioni interne che mettevano in luce i problemi dell’università di quel periodo: sovraffollamento, titoli di studio che non sempre garantivano il realizzarsi delle aspettative degli studenti e altro. Tutto ciò portò i giovani a insorgere contro le strutture universitarie e contribuì fortemente ad accrescere un sentimento di appartenenza, formando quella che venne chiamata “generazione sociale”. Inoltre, i movimenti afroamericani, femministi e LGBT+ che nacquero o si rafforzarono grazie al Sessantotto portarono a formulare nuovi concetti, in particolare quello di genere.

La dimensione generazionale e quella transnazionale sono i due fattori che permettono di capire quanto il Sessantotto si sia alimentato di idee, valori e pratiche condivisi da un universo giovanile, che era diventato a tutti gli effetti il vero protagonista di quel periodo, nonché un soggetto sociale con una propria identità. Non è un caso che siano stati condotti studi sociologici sui giovani, da cui l’interesse per le nuove esperienze sociali, come ad esempio gli hippies, con relativo studio dei comportamenti, delle motivazioni e delle relative conseguenze nella società. Tale ricerca non può che essere effettuata mediante un’indagine che prevede anche un diretto contatto con il soggetto studiato. Ecco che allora, come accade in Italia, vengono realizzati documentari-interviste, che permettono di raccogliere elementi significativi (si veda Comizi d’Amore di Pier Paolo Pasolini). In tali inchieste la donna occupa un ruolo importante, quale protagonista della nuova realtà sociale, anche se a volte emergono concezioni influenzate da una mentalità ancora maschilista. La sessualità è sicuramente un tema centrale a tali inchieste, che comporta il dover affrontare anche altre tematiche direttamente connesse, come la convivenza con amici o partner, contrapposta al matrimonio, visto come un istituzione opprimente e ormai superata (non serve un pezzo di carta per dimostrare che si vuole bene a una persona), quindi la violenza psico-fisica di cui molte donne furono vittime. Se inizialmente si sottolineava una possibile pericolosità sociale e politica dei giovani, successivamente se ne riconosceva l’individualità, alla base delle dinamiche di mutamento comportamentale e culturale.

Questo mutamento investì tutti i settori della società, primo fra tutti la musica, ma anche l’informazione, l’arte (il fumetto) e così via. Ne emersero figure che sarebbero diventate nuovi modelli per i giovani, come Bob Dylan, Janis Joplin, Jim Morrison, Jimi Hendrix  e molti altri. Fu proprio la musica a sviluppare uno stile di vita giovanile alternativo. I raduni (come quello di Woodstock – 1969) divennero ben presto occasioni per sperimentare una vita basata sul senso di appartenenza a un gruppo, in modo da raggiungere una dimensione quasi trascendentale, anche mediante l’uso di sostanze stupefacenti (si parla, in alcuni casi, di “rock psichedelico”). Un aspetto importante di questa rivoluzione culturale è ancora una volta rappresentato dalla mutata concezione della sessualità, che rompe con i tabù delle generazioni precedenti, occupando un posto importante nella vita dei giovani e trasformando anche la condizione femminile.

Quest’ultima ebbe conseguenze di rilievo per la società, come accadde in Italia con l’approvazione della legge sul divorzio (1974), la riforma del diritto di famiglia (1975) e il referendum sull’aborto (1981). Molti altri temi vennero discussi e affrontati, e ancora oggi vengono portati avanti progetti sociali che mirano a sensibilizzare l’opinione pubblica per quanto riguarda questioni di un certo peso, come l’AIDS e tanto altro. La nuova realtà sociale formatasi a partire dagli anni Sessanta è da vedersi come il frutto di un lungo processo di secolarizzazione della cultura e della società, che alimentò un intenso dibattito, con valutazioni sia positive che negative, fino a produrre la spaccatura dell’opinione pubblica, divisa tra rivoluzionari e conservatori.

In conclusione, molti studiosi hanno ribadito che, sul piano più propriamente politico, il Sessantotto si è in parte risolto in utopie irrealizzabili, a volte degenerando anche in fenomeni di violento conflitto sociale, ma si è rivendicato il suo merito di aver dato una svolta significativa alla società per quanto riguarda il costume, diffondendo una mentalità più aperta rispetto a quella dominante nei decenni precedenti, quest’ultima immobilista e vincolata alla tradizione. In tale prospettiva il contributo di altre discipline di studio, come la sociologia, risulta determinante per comprendere i mutamenti avvenuti in quegli anni, abbracciare un punto di vista più ampio, tenendo conto di molteplici aspetti fino a qualche decennio fa lasciati in secondo piano.

In Vent’anni dopo. Il Sessantotto di carta, articolo pubblicato nel 1988 sulla rivista Passato e Presente, Gianpasquale Santomassimo, storico e docente universitario, affermava che il Sessantotto «è stato celebrato da molti mezzi di comunicazione, […] rivendicandone i risultati di progresso civile e modernizzazione dei costumi oggi acquisiti e ben accetti dalla mentalità corrente. […] L’attenzione si è rivolta più ai fatti di costume, perché proprio su quel terreno il Sessantotto ha inciso maggiormente. Con i telegiornali dell’epoca, l’abbondante materiale fotografico e la suggestione delle immagini delle manifestazioni, delle contestazioni e delle rivolte, si esprime ancor oggi una carica di vitalità. […] Il Sessantotto è stato senza dubbio un evento irripetibile, in sé largamente concluso, ma è stata una parentesi deviante oltre la quale si è ricomposto il vecchio equilibrio o è parte di un processo nuovo, che parte di lì ed è ancora in corso, e che segna una nuova epoca?». Si direbbe che è tuttora valida la seconda ipotesi: la controcultura è ancora presente nella nostra società, perché ce n’è e ce ne sarà sempre bisogno.

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