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La lotta contro la violenza sulle donne, si colloca in uno scenario sociale sempre più nutrito di narrazioni che mirano ad accrescere la consapevolezza nei riguardi di un fenomeno che da troppo tempo o forse da sempre, avvelena la nostra società. L’educazione di cui si ha bisogno per estirpare la mancanza di rispetto, la violenza nelle sue varie forme, il senso di potenza che spesso governa soprattutto l’universo maschile e maschilista, perché è risaputo risieda nella sua stessa struttura, nel costrutto atavico e machista in cui la donna diviene oggetto da controllare, è un percorso estremamente lungo e complesso, il quale però non deve escludere il genere maschile da una lotta che non è solo femminista, ma della società tutta.

Se l’affossamento del Ddl Zan, che avrebbe previsto una misura di civilizzazione anche a vantaggio delle donne, oltre che per il mondo Lgbtq+, ha gettato nello sconforto le due comunità, i provvedimenti attuali che mirano ad intervenire nell’immediato per sostenere le vittime di violenza sembrano rispondere ad un’esigenza di riconquista dell’autonomia della vittima che non può, e non deve, attendere oltre dopo la denuncia e la presa in carico da parte del centro antiviolenza.

Tra le molte forme di violenza e abuso vi sono quella psicologica, fisica, sessuale, economica. È su quest’ultima, una forma di violenza molto diffusa e complessa, spesso viziata dal timore di palesarla, che si tenta ora di intraprendere un procedimento per mitigarne gli effetti. Si parla del Reddito di libertà, per cui il governo Draghi ha previsto un investimento di 3 milioni di euro. Con questa misura economica, introdotta già alla fine del 2020, si mira a sostenere economicamente le donne che hanno già fatto ricorso ai centri antiviolenza e sono da questi prese in carico, prevedendo un contributo economico mensile di 400 euro della durata di un anno. Un sussidio compatibile con gli altri strumenti di sostegno finanziario, come il Reddito di Cittadinanza.

Questo tipo di abuso rende la vittima economicamente dipendente, privandola di ogni risorsa finanziaria, che sarà così strettamente controllata e gestita dal proprio aguzzino. Ciò si aggiunge ad una dipendenza psicologica che priva la vittima di qualsiasi tipo di libertà, lasciando solo ogni forma di privazione e una dominanza maschile che parte proprio dalla predominanza economica. Una condizione combattuta su più fronti nella società odierna.

Secondo l’ultimo rapporto di D.i.Re Donne in Rete contro la violenza, associazione che raccoglie 84 organizzazione su tutto il territorio nazionale, le forme di violenza sono sistemiche e consolidate nel tempo. La più frequente è indubbiamente la violenza psicologica che colpisce il 77,3% delle donne, seguita da quella fisica che copre circa il 60% dei casi, mentre quella economica colpisce il 33,4% delle donne che hanno chiesto aiuto nei centri antiviolenza. Non da meno, “la violenza sessuale e lo stalking riguardano percentuali più basse (15,3% e 14,9%, rispettivamente)”. Le violenze vengono perpetrate dal partner nel 60,2% dei casi e dall’ex partner al 22,1%. Nel report, viene però aggiunto che le donne accolte sulle quali non viene rilevato alcun tipo di disagio o dipendenza è dovuto al fatto che i centri hanno difficoltà nella loro rilevazione stessa, principalmente legata “alla riservatezza delle informazioni condivise dalla donna”. Questa difficoltà di lettura dei casi che si presentano può riferirsi al fatto che la denuncia da parte della vittima parta principalmente dai casi di abuso fisico e/o psicologico, mente la violenza economica resta un ambito poco conosciuto e dunque difficile da comunicare. O al contrario, la dipendenza economica può creare le condizioni per cui la donna, intimorita dal non avere alcun sostegno economico, non denunci affatto.

Sempre secondo un’analisi di D.i.Re però, i fondi stanziati per il Reddito di libertà sarebbero minimi, mettendo a nudo il rischio che il provvedimento si trasformi in un “intervento di facciata, se si considerano i 3 milioni di euro del Piano nazionale antiviolenza 2017-2020 che vi sono stati investiti: ne potranno beneficiare al massimo 625 donne in tutta Italia, quando sono oltre 20.000 ogni anno le donne accolte nei soli centri antiviolenza della rete D.i.Re, e circa 50.000 nel totale dei 302 centri antiviolenza contati dall’ISTAT nel 2018”, ha dichiarato Mariangela Zanni, consigliera nazionale D.i.Re del Veneto.

“Per beneficiare una platea significativa, diciamo anche solo un quinto delle donne che si rivolgono ai centri antiviolenza, ovvero 10.000, e fermo restando un contributo di 400 euro per 12 mesi, ci vorrebbero almeno 48 milioni di euro”, calcola Zanni. E ancora, “un contributo di 400 euro al mese è senz’altro utile, ma non è un reddito che può dare davvero l’autonomia”.

Al momento dunque, si tratterebbe di un intervento una tantum, che scorrendo i dati, sottolinea la necessità di “trasformare questa misura in un intervento strutturale“. Esattamente come viene configurato il problema, strutturale.


Alice Cubeddu

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