Dal Colera a Londra nel 1854, al Coronavirus in Veneto e Lombardia nel 2020.

Epidemiologia, ovvero il “Ragionamento sulla salute della popolazione”.

No, non è Jon Snow del Trono di Spade, ma John Snow, medico inglese dell’800, uno dei padri dell’epidemiologia.
Potremmo dire che i nostri “John Snow” sono il Dottor Andrea Crisanti di Padova sul piano medico-epidemiologico, e il prof. Alessandro Amadori un vero e proprio “amatore”, perdonate il gioco di parole, della matematica, della statistica e – permettetemi – dell’impegno civile.

Questa storia, vera e molto attuale, l’ha raccontata proprio Alessandro Amadori sul suo profilo Facebook.

Michele Papagna, direttore Consumietici.it


Buonasera, la giornata di oggi (domenica 7 giugno 2020 ore 23 circa) è stata importante dal punto di vista epidemiologico, perché oggi il Veneto, una delle due regioni in cui si è sviluppata inizialmente in Italia l’epidemia di Covid-19, è a zero decessi e, soprattutto, zero nuovi casi totali (il valore di oggi comunicato dalla Protezione Civile è 1, un singolo, simbolico caso). Al tempo stesso, nell’altra regione di origine, ossia la Lombardia, per quanto moltissimo migliorata rispetto alle fasi di picco, la situazione è piuttosto diversa. I nuovi casi totali sono 125, e i decessi 21. Veneto e Lombardia si trovano insomma ai due poli opposti della distribuzione dei nuovi casi. Che cosa ha contribuito a determinare questa differenza? Capire i “determinanti” di una situazione sanitaria è uno dei compiti dell’epidemiologia. Che forse è la più “sociale” delle discipline mediche, come dice, dal greco antico, il suo stesso nome (epi-demos-logos): ragionamento (logos) sul (epi) popolo (demos), ovvero “ragionamento sulle condizioni di salute del popolo”. Una nobile materia, cui l’umanità deve molto. Proprio nella lotta alle malattie infettive, che sono state a lungo la maggiore causa di morte per gli esseri umani. L’esempio classico è quello dell’epidemia di colera del 1854 a Londra (particolarmente virulenta nella zona di Soho), sconfitta da un medico inglese, John Snow, che è considerato uno dei padri della moderna epidemiologia.

Ne parla anche il professor James D.Stein nel suo libro su Come la matematica può salvarti la vita . All’epoca, a Londra le persone morivano di colera, ma non si sapeva che cosa determinasse il contagio. La microbiologia doveva ancora essere sviluppata, e nessuno sapeva dell’esistenza del vibrione del colera. Si pensava che a trasmettere il morbo fossero dei “miasmi”, collegati in qualche modo all’umidità e alle condizioni di vita dei quartieri. Snow, forse incarnando ante litteram il personaggio di Sherlock Holmes (nato, letterariamente parlando, proprio nel 1854, l’anno dell’epidemia di colera a Soho), fece un’investigazione statistica avvincente quanto la risoluzione di un giallo, utilizzando una sorta di antesignano del metodo della geolocalizzazione.

Mappa di Soho durante l’epidemia di colera del 1854: in nero le barrette che indicano i decessi geolocalizzati. John Snow ha anche indicato le fontane pubbliche per l’acqua (Immagine: Wikimedia Commons)

Mappò infatti sulla carta di Londra la diffusione dei contagi, zona per zona, e si accorse che si concentravano non solo in alcune specifiche zone, ma – in quelle zone – anche attorno a punti precisi. Ossia le pompe da cui le persone prendevano l’acqua per le necessità domestiche. Sì perché a diffondere il morbo erano i liquami scaricati direttamente nel Tamigi, in alcuni casi esattamente a monte di alcune stazioni di prelievo dell’acquedotto cittadino. Una di queste pompe dell’acqua attrasse in particolare la sua attenzione, perché attorno a essa vi era una chiara concentrazione di contagi: la pompa di Broad Street. Snow, pur senza “evidenze biologiche” ma affidandosi all’intuito e al metodo statistico, intuì appunto che il veicolo del contagio era l’acqua potabile (che, in realtà, potabile non era). Così, Snow propose una semplice azione pratica: chiudere quella pompa dell’acqua, l’oggi celebre pompa di Broad Street (vi assicuro che è emozionante andarla a vedere, trasformata in un dovuto omaggio all’intelligenza e al senso civico di Snow).

Broad Street, oggi Broadwick st., con in primo piano il monumento a forma di fontana dedicato a John Snow installato nel 2018 (Immagine: Wikimedia Commons)

Il consiglio di quartiere, per fortuna, accolse la sua proposta (priva, come detto, di evidenze “biologiche”), e l’epidemia di colera di Londra venne bloccata (ma, naturalmente, ci vollero parecchi anni prima che la riottosa comunità scientifica dell’epoca accettasse in pieno le teorie di Snow). Ecco, per me l’epidemiologia è questo, un metodo per aiutare i decisori amministrativi a prendere appunto le decisioni giuste, nel solo ed esclusivo interesse del popolo. Perché, ricordiamolo, l’epidemiologia è proprio il “discorso razionale sulla salute del popolo”. Bene, cosa c’entra tutto questo con Covid-19 in Italia? C’entra. Perché alcuni semplici dati epidemiologici possono aiutarci a prendere le decisioni giuste per il futuro. In questo caso, a vestire i panni di John Snow è un epidemiologo e virologo italiano, il professor Andrea Crisanti dell’Università di Padova.

Il virologo Andrea Crisanti riceve dal sindaco di Padova Sergio Giordani, il 5 maggio 2020 il Sigillo della Città, quale segno di riconoscimento per il fondamentale ruolo svolto nella definizione della efficace strategia di contrasto al Coronavirus, strategia che ha permesso alla città di Padova e a tutto il Veneto di contenere il numero di vittime e di affrontare con successo il percorso di cura per migliaia di persone. dal sito Università di Padova

L’uomo la cui strategia ha portato il Veneto al risultato che abbiamo ricordato in apertura di questo post. Crisanti dice, da sempre, da inizio epidemia, una cosa molto semplice: che per bloccare un’epidemia bisogna evitare che i casi arrivino in ospedale. Bisogna trovarli, e curarli, prima che diventino gravi e debbano essere ospedalizzati. Come? Con la “sorveglianza attiva”. Che poi vuol dire una cosa molto pratica, come la chiusura della pompa dell’acqua di Broad Street a Londra nel 1854. Vuol dire fare tanti tamponi. Vuol dire, ogni volta che si individua un caso positivo, tracciare i suoi contatti e fare a questi contatti, anche se asintomatici, il tampone. Vuol dire testare (fare tamponi per trovare i positivi), tracciare (ossia fare il tampone anche alla rete di contatti di ogni positivo) e trattare (ovvero mettere in condizioni di sicurezza, e curare, ogni caso positivo nella fase precoce della malattia). Il punto è che per fare questo occorre mettere su una sorta di “processo industriale”. Ovvero dotarsi, nelle quantità necessarie, di macchinari per processare i tamponi, e di reagenti. E’ quello che è stato fatto in Veneto. La Regione, seguendo Crisanti, ha effettuato, a inizio epidemia, investimenti appunto immediati per dotare il Veneto della capacità “industriale” necessaria per fare davvero la sorveglianza attiva. Questo, in estrema sintesi, è il segreto del successo del Veneto nella lotta a Covid-19. Alcuni semplici numeri lo dimostrano.

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Grafico elaborato da Alessandro Amadori, che fin dall’inizio della Pandemia COVID-19 sta monitorando tramite i dati dell’ISS e Protezione Civile, traducendoli in post quotidiani sul profilo personale di Facebook che mette a disposizione di tutti, interagendo con tutti e arrivando a creare una vera e propria comunità attenta e consapevole

Nella tabella allegata vediamo a confronto il Veneto e la Lombardia, su una serie di parametri. La Lombardia, avendo circa il doppio degli abitanti del Veneto, ha avuto quasi 5 volte più casi totali del Veneto (non 2 due volte di più, ma 5). E ha avuto non 2, ma 8 volte più decessi del Veneto. Ciononostante, Veneto e Lombardia hanno fatto quasi lo stesso numero di tamponi (un po’ di più la Lombardia, ma molto meno in proporzione alla popolazione e ai casi totali). In altre parole, il Veneto ha fatto molti più tamponi della Lombardia in proporzione al numero di casi diagnosticati. In Veneto sono stati fatti quasi 39 tamponi totali per caso totale (contagiato), in Lombardia 9 (ossia 4,3 volte in meno). In Veneto sono stati fatti quasi 19 tamponi diagnostici per caso totale, in Lombardia 5 (ossia 3,8 volte in meno). In Veneto sono stati fatti 15 tamponi totali per cento abitanti, in Lombardia 8. Infine in Veneto sono stati fatti 7,2 tamponi diagnostici ogni cento abitanti, contro i 4,8 della Lombardia. In sintesi, il Veneto ha fatto più sorveglianza attiva. Per cui ha ridotto più efficacemente la diffusione del contagio, con conseguenze anche sulla letalità (apparente) della malattia: che, definita come rapporto fra decessi e casi totali, è circa del 10 per cento per il Veneto e del 18 per cento per la Lombardia. Anche la mortalità è diversa (rapporto fra decessi e popolazione): 4 decessi per 10.000 abitanti in Veneto, 16 decessi per 10.000 abitanti in Lombardia (per una sorprendente coincidenza, a quattro volte in meno tamponi diagnostici corrisponde un valore di mortalità quattro volte maggiore). Ora, in conclusione, vorrei dire chiaramente una cosa. Questo post ho voluto scriverlo, fatte le dovute proporzioni fra un grande uomo e grande scienziato come John Snow e un semplice osservatore dilettante come il sottoscritto, rigorosamente nello spirito dello stesso Snow: non per criticare qualcosa o qualcuno, ma per fare un “ragionamento sulla salute del popolo”. Per trarre una lezione dai dati, per riflettere sui fattori (di politica sanitaria e di intervento epidemiologico) da tenere presenti perché eventuali situazioni future, se mai dovessero capitare (e ovviamente ci auguriamo con tutto il cuore che non succeda), siano affrontate meglio. Nel migliore dei modi possibili. Ovunque, uniformemente, in Italia e nel mondo. Perché tutti gli uomini di questo mondo, ovunque siano nati e dovunque vivano, hanno lo stesso diritto, come dice il professor Stein, di essere salvati, quando versano in condizioni di pericolo, dalla matematica e dall’epidemiologia, che in fondo ne è una preziosa applicazione specifica.

Grazie, e buonanotte

Alessandro Amadori, 07 Giugno 2020, h. 23,00

John Snow’s contribution to modern epidemiology: video realizzato dall’Università di Harward (USA)

ringraziamo l’Aula Scienze Scuola Zanichelli dal cui articolo abbiamo tratto le foto e il video di Harward (USA)

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