Estate 1946: gli Stati Uniti testano le bombe atomiche sull’atollo di Bikini, nell’arcipelago di Marshall, e oltre a colpire le coste dell’isolotto, l’esplosione colpisce anche, metaforicamente, lo stilista francese Louis Réard.

Al couturier, infatti, balena in testa un’idea del tutto eccezionale e scopiettante: il bikini. Ispirandosi alle donne francesi, che arrotolavano i loro costumi per abbronzarsi in modo più uniforme e sentirsi più libere, Réard disegna un modello composto di quattro triangoli e lo fa sfoggiare alla ballerina del Casino de Paris Michelle Bernardini.
Il risultato? Un’ondata di emancipazione! Il nuovo costume, infatti,  esplode proprio come l’atollo, conquistanto le maggiori star del momento: da Brigitte Bardot, a Sophia Loren fino a Marilyn Monroe, cambiando per sempre le regole e il ruolo del corpo delle donne. 

Ma siamo certi che sia ancora cosí?

Estate 2022: le pubblicità e i siti che vendono bikini mostrano solo corpi atletici, slanciati e, molto probabilmente, ritoccati. Come siamo passati da un manifesto di emancipazione e libertà ad un club esclusivo per pochi eletti? Negli ultimi anni sicuramente il dialogo sulla body positivity si è ampliato, portando a galla temi importanti come l’accettazione di sè, l’inclusività corporea, la rappresentazione differenziata di corpi diversi sul web, ma è una tematica che si apre e si chiude all’interno dei profili di attivisti, celebrities e influencer senza operare un reale cambio di rotta nella scelta delle aziende che vendono costumi. Le campagne estive dei brand presenti sul mercato da lunga data continuano a proporci lo stesso ideale di “corpo perfetto” da anni, ma anche marchi nuovi e freschi non sono da meno: basti pensare a SKIMS (brand in voga diventato noto grazie all’impero di Kim Kardashian) che, nonostante proponga anche una visione non standard della fisicità femminile lo fa avvalendosi comunque di una versione ritoccata e perfezionata della stessa…morale: scordatevi di vedere linee, inestetismi di ogni genere, smagliature, cellulite, etc. 

È chiaro che una fotografia, per vendere, dev’essere curata nei minimi dettagli e pleasing da un punto di vista estetico, ma non deve nemmeno scoraggiare un possibile cliente sin dal principio

Il problema della mancanza di rappresentazione, infatti, è proprio questo: decidere di non dare spazio a un determinato tipo di corpo all’interno del proprio shop non fa altro che urlare “il mio prodotto non è stato pensato per te”. Non parliamo strettamente della necessità di rappresentare corpi plus-size, alcuni brand a onor del vero, anche se pochi, si sono mobilitati a riguardo, ma anche della necessità di rappresentare tutto quello spettro che sta nel mezzo e che, di fatto, nel nostro paese rappresenta la media (in Italia si stima che in media le donne portino la taglia 44 e i maschi la 52). 

Inoltre, il problema, non è solo al femminile, anzi. Nonostante la fetta maschile della popolazione abbia sempre avuto più potere sulla propria autodeterminazione corporea, e non sia stata investita dall’esplosione del bikini, è pur vero che è anch’essa schiava di ideali spesso irrangiugibili e, comunque, poco rappresentativi. 

Insomma se è vero che il bello vende è pur sempre vero che non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace, e per piacerci di più e aver voglia di sfoggiare un costume di tendenza abbiamo, spesso, bisogno di sentirci accettati. Sí, anche dal mercato. 


Chiara Saibene Falsirollo

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