Vogliamo viaggiare sicure. “Abbiamo il diritto di usare i mezzi pubblici a qualsiasi ora del giorno senza paura. In altri paesi, sui mezzi di trasporto anche locale esistono carrozze dedicate alle sole viaggiatrici. Con questa petizione chiediamo a Trenord di dedicare, su tutte le sue linee, la carrozza di testa alle donne. In questo modo, a qualsiasi ora, si potrà viaggiare sicure”. Queste, le parole della petizione lanciata su change.org dove si contano più di 8000 firme, un numero che sale costantemente.
In seguito alla notizia di una violenza sessuale avvenuta sulla tratta Milano-Varese ai danni di una studentessa di 22 anni, è nata la richiesta di dedicare una carrozza alle sole donne, che sia vicina alla testa del treno e dunque nelle immediate vicinanze della vigilanza e dei controllori, cui poter ricorrere immediatamente in caso di pericolo.
In alcuni paesi, primo fra tutti il Giappone, è già presente questa diversificazione dei mezzi di trasporto, dovuta purtroppo al fatto che si abbia fin troppa familiarità con molestie e violenze sui mezzi pubblici, ad opera dei cosiddetti chikan, i molestatori seriali. I “vagoni rosa” giapponesi sono così riservati alle donne che hanno in questo modo la possibilità di mettersi al riparo dalle continue molestie, ben note in terra nipponica. Ma adottare un mezzo del genere in Italia, sarebbe davvero la scelta giusta?
È la domanda che molte donne si sono poste nel momento in cui la petizione ha ottenuto risonanza sui principali media: una carrozza riservata, avrebbe funzione ghettizzante, si configurerebbe come una sconfitta nella perenne lotta contro la violenza di genere, che fa dell’educazione e dell’informazione la sua principale arma per combatterla? Insomma, escludere l’intero mondo maschile, lo stesso in cui risiede il problema specifico e strutturale e tagliarsene fuori, risolverebbe davvero il problema? Almeno quello legato alla sicurezza di viaggiatrici?
È innegabile il perpetuo senso di pericolo percepito sui mezzi pubblici: se il vagone della metro è troppo affollato c’è il rischio di palpeggiamenti, se il volume della musica negli auricolari è troppo alto puoi o proteggerti da molestie verbali o non accorgerti di un indesiderato che si avvicina, se incroci uno sguardo insistente occorre stare attente a cosa ne potrebbe scaturire. È possibile che si trasformi in un mezzo inseguimento fuori dalla metropolitana. Stalking, catcalling, onnipresenti.
Allora come intervenire? Aumentando i controlli, fisici e di videosorveglianza, istruire chi è preposto a proteggere una vittima a un’azione immediata, potendo in seguito avvalersi di una legislazione che preveda al suo interno una punizione e rieducazione duratura. In questo modo si starebbe intervenendo sul molestatore, non sulla vittima. Per questo, la proposta della carrozza rosa fa storcere il naso a molte/i. Forse sarebbe una soluzione momentanea, ma significherebbe solo rimandare il problema reale e forse anche fare un passo indietro rispetto alla presa di responsabilità e coscienza che dovrebbe permeare la nostra società.
Escludere le donne, e scegliere di escludersi, anche dai mezzi pubblici (le donne si autoescludono da zone, quartieri, persino esperienze che possono in qualche misura ritenere “non sicure”), significherebbe attuare un’antica forma di segregazione. Lasciando il proprio spazio di diritto, fisico e morale, a chi non dovrebbe invece occuparlo. E così facendo, i comportamenti su cui si dovrebbe agire, l’ignoranza, il maschilismo, il machismo, non avrebbero modo di cambiare. Significherebbe consegnarli una realtà e dirgli “ecco, vi appartiene e potete usarla a vostro piacimento”. Significherebbe legittimare parte di ciò contro cui da anni, ogni giorno, si lotta. La società che viene sempre più chiamata a reagire di fronte a soprusi e violenze non avrebbe più modo di auto-educarsi ed agire prontamente per difendere un diritto. Perché se la donna che si pone con questo tipo di ragionamento, di preservare cioè la propria presenza, il proprio legittimo spazio, decidesse di non usufruire della “scelta più sicura fatta su misura per te, donna”, sarebbe colpa sua? Significherebbe che per tutelarsi anche da questo rischio d’accusa, ci si dovrebbe definitivamente auto-escludere.
Si, vogliamo camminare per strada, giorno e notte, sicure. Vogliamo non dover cambiare lato del marciapiede, se vediamo un uomo sulla nostra via. Vogliamo poter prendere un mezzo pubblico senza ansia. Vogliamo poter camminare senza essere inseguite da urla insistenti. Vogliamo poter reagire a un’ingiustizia senza essere tacciate di isteria o di “essercela andata a cercare”. Vogliamo essere libere, ma non al prezzo della nostra stessa libertà.
Alice Cubeddu